Uno degli aspetti che trasmettono appieno l’ingenuità del sistema scolastico italiano e il fatto che si sia sviluppato in una bolla di mercato pubblico mentre altrove la gente per sbarcare il lunario fa le notti e porta gli hamburger in bici sotto la pioggia va ricondotto alla rivendicazione del diritto alla disconnessione. Si tratta di un principio generale secondo il quale anche i docenti – come altre categorie di lavoratori del terziario – non dovrebbero essere disturbati con e-mail di lavoro durante il fine settimana e, in senso lato, al di fuori dell’orario lavorativo, ossia la libertà di non rispondere alle comunicazioni di colleghi, alunni e famiglie durante il periodo di riposo.
Una pratica che ha lo stesso flavour di quelli che abbassano la leva del contatore della luce prima di chiudere la porta e tornare a casa dall’ufficio spegnendo i server sui cui gira il sito con i servizi dell’azienda, oppure quegli altri che dal primo al trentuno di agosto staccano la batteria al cellulare di lavoro.
La pretesa più folle è che non ci si deve permettere nemmeno di inviarla, l’e-mail, come se quando teniamo la tv spenta i programmi dovrebbero interrompersi fino a quando non la riaccendiamo, oppure quando ci lascia un partner pretendere che non abbia più relazioni sentimentali con nessuno per il resto della sua vita. L’Internet e il resto del mondo – e per fortuna, dico io – continuano a restare attivi malgrado noi. Possiamo così scegliere di non aprirla nemmeno, quella e-mail del collega la cui notifica fa capolino ogni volta che prendiamo in mano il telefono per fare la foto al gatto nel week-end e per fare sapere al resto della nostra sfera privata che siamo connessi acca ventiquattro. Sta a noi lasciarci prendere e stabilire da chi non farci trovare.