prole

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Vivere in una bolla composta da gente che va dagli otto ai sei anni pone l’insegnante di scuola primaria in un mondo delle idee così confortevole e distante dalla realtà reale che poi non si ha più voglia di tornare indietro. Crisi di governo ed emergenza sanitaria passano in secondo piano rispetto alla verifiche parallele di fine quadrimestre. Passo così tanto tempo con dei bambini – e sempre con gli stessi – che mi viene da fantasticare sul fatto che siano tutti figli miei. Questo è un problema, se considero che ho già fatto fatica a educarne una (che poi è tutto da vedere se ci sia riuscito) figuriamoci diciannove. Quest’anno si è aggiunto alla mia prole uno nuovo, proveniente da un’altra scuola dove ha avuto altri insegnanti meno ingombranti di me e infatti si vede la differenza, quello che si dice figli e figliastri. Interviene in modo inopportuno e poi non si capisce niente di quello che dice, e la mascherina è l’ultimo dei problemi. Gli chiedo di parlare lentamente e di scandire bene parola per parola. Lui allora se la abbassa e ripete la cosa che nessuno ha afferrato – ho già appurato che non si tratti di un problema legato al fatto che sono vecchio e sordo come una campana – enfatizzando i movimenti della mandibola e a un volume più che accettabile. Così, per gratificarlo, gli dico che dovrebbe sempre parlare sempre in quel modo, anche quando deve dire delle cose che lo rendono inviso ai suoi nuovi compagni. Io sono un genio, sono il più intelligente, sono il più coraggioso. Non so da dove gli vengano e cosa spinga un bambino alla presunzione, per di più fuori luogo. Per fortuna sono ancora piccoli e gli altri non ci fanno caso più di tanto. Se la cava piuttosto bene ma non è raro che prenda certe cantonate che mi verrebbe voglia di ricordargli, prima di vantarsi, di controllare i voti sul registro elettronico. E anche in classe capita che qualcuno abbia problemi di salute. È da prima delle vacanze di Natale che J. entra ed esce dall’ospedale per un problema che coinvolge fegato e reni. Ha sintomi che manderebbero nel panico qualunque genitore. Si gonfia e le sale la pressione e quando la mamma me li descrive su Whatsapp – meglio così perché non parla benissimo l’italiano – non riesco a mantenere la calma e penso che, se davvero fosse in parte mia figlia come ho scritto prima, dovrei essere in grado di risolvere la questione come fa un padre spirituale che si rispetti. Mentre i compagni lavorano in silenzio osservo il suo banco vuoto e cerco una risposta al dubbio di saper davvero fare questo mestiere. È giusto farsi coinvolgere? Poi succede però che le cose vanno per il verso giusto. Mi ha mandato un vocale con la sua vocina sofferente per avvisarmi che è tornata a casa e che, in settimana, riprenderà a frequentare. Le cose tornano a scorrere per il verso in cui devono scorrere, il pericolo è rimandato al secondo quadrimestre.

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