Il processo di emancipazione dalla famiglia che vede protagonisti gli adolescenti non sempre è privo di ostacoli. Mia figlia ha scelto un liceo inutilmente impegnativo che ha penalizzato pesantemente la sua vita sociale, limitando le frequentazioni ai componenti della sua classe, altrettanto poco disponibili a incontrarsi tra compagni per mancanza di tempo libero. La scuola che frequentano si trova a Milano centro e raccoglie un bacino di utenza distante da dove viviamo, questo complica ulteriormente le relazioni, carenza parzialmente sopperita dalla tecnologia. Come se non bastasse, ad aumentare ulteriormente le difficoltà di vedersi con gli amici ci si è messa la pandemia. Un insieme di condizioni che fa sì che mia figlia trascorra il suo tempo quasi costantemente chiusa in casa. Quando avevo sedici anni io in casa non ci stavo mai né ci volevo stare. Ora mi pento di aver sprecato tutto quel tempo insieme a una manica di cazzoni anziché godermi i miei genitori, ma ai tempi non avrei rinunciato alla mia vita privata per nulla al mondo. Rimanevo in casa il minimo indispensabile per studiare – e studiavo molto poco – e basta. La formula che mia figlia si è trovata a dover adottare per incontrare le sue amiche è stare via per due giorni, sempre che le scadenze scolastiche lo possano permettere. Dorme ospite di qualche amica e rientra la mattina successiva. Per riuscire a muoversi a Capodanno, tra zone rosse e coprifuoco, ha raggiunto in centro il 30 la compagna di classe con cui ha trascorso il veglione, per poi rientrare il 2. Mia moglie ed io viviamo queste sue assenze, poche ma più lunghe delle uscite standard impossibili al momento, come prove tecniche di quando non vivrà più con noi. Una condizione con cui dovremo fare i conti, quando sarà adulta o anche se solo sceglierà di proseguire gli studi lontano. Ci capita di scherzare sull’utilizzo che faremo della sua cameretta, ma il cinismo è inefficace contro la nostalgia proattiva. Meglio non pensarci e vivere le sue assenze temporanee come intermezzo da una presenza assidua nelle nostre vite. Vivere a così stretto contatto è stato l’unico aspetto positivo del lockdown, anche se si tratta di un approccio decisamente egoista e tutt’altro che efficace per affrontare al meglio quello che ci aspetta.