Le festività natalizie sono quel periodo dell’anno in cui, Whamageddon a parte, sale la voglia più che mai di ascoltare della musica a tema. Il fatto è che le canzoni sul 25 dicembre non sono infinite. Anzi, la storia ci insegna che sono sempre le stesse (let it snow, let it snow, let it snow). C’è qualche artista che si lancia a comporre nuova musica ad hoc ma è tutto da vedere se, da quel momento in poi, avrà dignità di far parte della tradizione. Ci sono riusciti gli Wham, appunto, e pochi altri, ma per motivi che hanno ben poco da spartire con la religione cattolica. Quest’anno si è scomodato Robbie Williams, per dire, ma solo i posteri potranno testimoniare se l’ex Take That ha colto nel segno. La varietà delle playlist presenti in giro non riserva nessuna sorpresa. Se ne deduce che il Natale impone il rispetto di dogmi difficili da smantellare anche in ambito musicale, a meno che non si scelga volutamente di comportarsi da bastian contrari come quel mio amico che festeggia provocatoriamente con menu anti-clericali ed etnici in una sorta di dispetto al sentimento e al gusto della massa. Anch’io, nel corso della cena della vigilia, dopo qualche brindisi di troppo ho messo i Bauhaus, ma – come avrete inteso – non è questo il punto. Un approccio serio alla soluzione del problema mette in stretta correlazione consuetudini come candele accese, lucine intermittenti e tovaglioli con le renne con la musica classica. Risulta fondamentale, però, conoscere i grandi compositori del passato, e se pensate che questo articolo ora prosegua con una guida alle migliori cantate o messe per organo e corali vi consiglio di sintonizzarvi su una radio più competente o, comunque, cercare un blogger specializzato. Per una efficace colonna sonora di musica classica natalizia occorre infatti conoscere che cosa proporre ai propri commensali: il rischio che qualcosa vada storto non è così remoto. La selezione dev’essere nelle corde di chi l’ascolta. Anni di canzonette, purtroppo, hanno reso ancor più faticosa la musica cosiddetta colta e l’impegno richiesto – anche nel caso costituisca un mero background alla conversazione – può guastare l’atmosfera.
Il 2020 è stato però il 250esimo anniversario della nascita del più importante di tutti, Ludwig van Beethoven. Un evento passato in sordina (non è una battuta) (nemmeno questa) per l’emergenza sanitaria che ha piallato qualsiasi guizzo di vitalità dell’anno più nefasto dalla seconda guerra mondiale. Qualche giorno fa Rai5 ha trasmesso una maratona-Beethoven per un binge-listening delle nove sinfonie dirette da Claudio Abbado, una estenuante programmazione che mi ha reso felice. Ogni mattina di Natale ho infatti l’abitudine di aprire il cofanetto con la collezione in vinile delle sinfonie dirette da Von Karajan – era di mio papà – e riempire l’atmosfera di casa con quell’esplosivo concentrato di genio musicale. Non so se Beethoven sia natalizio, probabilmente no. Ascoltandolo, però, ho la sensazione di assistere al passaggio di un piccolo pezzo di storia proprio qui, attraverso questi luoghi domestici in cui si svolge una vita ordinaria con un tornado che spazza via la quotidianità grazie alla potenza di un impeto immortale. Forse alle canzoni di Natale si chiede altro. Si chiede di celebrare lo spirito. Con Beethoven è tutto il contrario, ma a me va bene così.