Che non si possa più regalare dischi per Natale è un vero peccato. Far trovare un 33 giri sotto l’albero, un pacco dal volume e dalle dimensioni così facilmente prevedibili, resta il modo più personalizzato – eguagliato solo da un libro – di dire qualcosa proponendo al destinatario una parte di sé. Da quando la musica è interamente gratuita e disponibile in tempo reale ci affligge la percezione che sia stata depauperata della sua essenza artistica nonché depotenziata del piacere della sua scoperta. Per questo, scegliere un CD o un disco significa regalare solo un supporto o un involucro o, peggio, il materiale con cui è costruito, in poche parole una metonimia. Tanto vale adattarsi al mercato e dare in dono smartphone o altri elettrodomestici. Contenitori virtuali.
Così quest’anno, per Natale, mi sono regalato Spotify Premium. Lo aveva già in dotazione mia figlia dalla scorsa primavera e mi è bastato aggiungere qualche euro al mese per avere un account in più. Dopo la sbornia del peer to peer e dell’mp3, da quando ha ripreso ad essere prodotto sono tornato ad approvvigionarmi di musica prevalentemente comprando vinile quando disponibile a un prezzo accettabile. In realtà rientro nella categoria dei collezionisti e acquirenti ossessivo-compulsivi, profilo che spero di mantenere malgrado il passaggio alla piattaforma digitale. Utilizzavo già ampiamente Spotify ma nella versione gratuita, tollerando senza particolari fastidi le dovute interruzioni pubblicitarie ogni tot brani. Ho collegato un vecchio tablet all’impianto stereo e usavo la piattaforma di streaming nei casi in cui prevedevo di non aver voglia di correre a girare il disco sul lato B dopo pochi brani, che poi è la scocciatura su cui la civiltà musicale più pigra della storia risulta più intransigente. Poi è successo che anche su tablet, come già accadeva su smartphone, la versione free ha ridotto pesantemente le funzionalità. L’altra situazione tipo in cui ascolto musica in formato playlist è quando vado a correre. Ho una libreria da 64 gb di mp3 copiati su una schedina di memoria, un’enormità di canzoni per la gente normale ma che a me stava sempre più stretta.
Il passaggio a Spotify sta cambiando le mie abitudini? Avevo giurato che non avrei mai permesso ad un algoritmo di impormi una scaletta. Invece trovo in parte utili i consigli di ascolto correlati ai dischi e artisti che mi piacciono. Quando corro, malgrado il consumo dei dati (si lo so che potrei scaricare le canzoni direttamente da Spotify ma allora saremmo da capo), è impagabile il fatto di aggiungere in coda tutta la musica che mi viene in mente, per non parlare di interi album o compilation tematiche altrui, tenendo conto che posso skippare tutto quello che non ho voglia di sentire al momento. In casa, giradischi a parte, ho la musica diffusa in continuazione e con i dispositivi connessi al wifi domestico con lo stesso account posso scegliere gli ascolti dallo smartphone a distanza, mentre il tablet è amplificato dall’impianto. Inoltre mi risulta più facile reperire i dischi da recensire su Loudd, senza doverli scaricare con Soulseek o tramite i siti di file sharing. Mi sento anche più onesto, a dirla tutta, sperando che gli artisti e i compositori traggano profitto dalle mie scelte. Spero, comunque, di continuare ad acquistare dischi in vinile. Sarebbe un peccato perdere questa meravigliosa abitudine.