Nel giardino della mia scuola stanzia una colonia di scoiattoli. In realtà non so quanto sia nutrita perché, al massimo, non ne ho mai non più di due simultaneamente e non potrei affermare con certezza se quello che vedo saltare da un albero all’altro singolarmente in realtà è sempre lo stesso esemplare che esce per approvvigionare il resto del gruppo oppure sono tantissimi e, ogni volta, ne vedo uno diverso. Premesso che ho molti amici scoiattoli – non è vero, eh – non me ne vogliano se affermo con convinzione che si fa molta fatica a distinguerli tra di loro. Una volta ne ho osservato persino uno da abbastanza vicino. Stava ritto su due zampe come uno di quei ratti di fogna che capita di incrociare nei bassifondi genovesi e lanciava un grido inquietante che, se avessi solo ascoltato il sonoro della scena, avrei ricondotto il verso a una delle tante cornacchie che infestano l’hinterland milanese. C’era però un cancello che ci divideva – io ero fuori dal giardino e lui sul ramo di una pianta all’interno – e ho avuto l’impressione che avesse la consapevolezza che non sarei mai riuscito a raggiungerlo per catturarlo. Non che ne avessi l’intenzione, naturalmente.
Quando accompagno la mia classe in giardino per trascorrere l’intervallo capita spesso che uno scoiattolo si lasci scorgere. Se i miei alunni ne vedono uno non capiscono più nulla ed è sorprendente che, ai tempi di Fortnite e di Batman, un comune roditore, per giunta nemmeno particolarmente attraente, susciti un entusiasmo così smodato. Uno dei bambini più esagitati per qualsiasi novità esclama “scoiattolo!” e, nemmeno avessi come alunni un branco di cani da caccia, tutti si scagliano di corsa sulla scia della direzione indicata dal braccio di chi ha fatto la scoperta, urlando e sbraitando come una tribù di guerrieri di quelli che siamo abituati a vedere nelle serie tv sulle popolazioni più selvagge. In quattro balzi e una manciata di decimi di secondo lo scoiattolo guadagna il vantaggio a garanzia della sua incolumità e si porta sui rami alti della vegetazione del giardino. I bambini restano sotto nella speranza che cada o che, più realisticamente, si renda visibile ancora una volta. Uno lo intravede sull’abete più avanti. Un altro sul massiccio tronco dell’acero dalle foglie rosse tutto scavato da potenziali tane di fronte. Per tutta la durata dell’esperienza di contemplazione però i bambini si prodigano in urla lancinanti, come se qualcuno li squartasse con un coltellaccio da combattimento. Si affacciano persino le nonne e i nonni delle abitazioni circostanti e, di questo, un po’ me ne vergogno. Da una parte vorrei intervenire per dimostrare agli anziani spettatori sui balconi che sono un efficace educatore e che la mia mission è quella di fornire strumenti ai miei alunni per comportarsi come si deve. E gridare come un ossesso non fa parte delle best practice delle competenze acquisite. Dall’altra però vorrei lasciarli fare come vogliono. D’altronde, non fanno male a nessuno.
La coppia di bambine più pacifiche corre subito ad avvisarmi che il resto della classe sta spaventando gli scoiattoli. A me gli scoiattoli non mi sembrano un prodigio di pucciosità animale. Voglio dire, ci fosse un panda o qualche altro animaletto grazioso la cosa mi toccherebbe. Gli scoiattoli, pur con le dovute differenze, mi ricordano i ratti dei bassifondi genovesi, l’ho già scritto prima. Quindi non mi dispiace se qualcuno li spaventa un po’. Credo che però se gli scoiattoli scelgono di rimanere nel giardino di una scuola, che durante le due ore dell’intervallo, pioggia permettendo, è infestato da mini-esseri umani che giocano a fare gli indemoniati, sono consapevoli del fatto che un bambino che corre e urla nella sua direzione non costituisce un pericolo di vita. Gli scoiattoli non sono ancora emigrati. Saranno fatti loro.