La collega di inglese della secondaria mi ha portato una boccia di Ferrari ma sono io quello che si deve scusare. Non mi lasciava parlare al telefono, e io pensavo ma che razza di help desk sono se non riesco nemmeno a mettere sul pause un’insegnante un po’ nevrotica che sciorina a raffica tutte le sue teorie bizzarre a spiegazione del problema che ha riscontrato sulla piattaforma che usiamo per la didattica a distanza. Nel sogno mi mostrava, in un curioso smartphone fisso dal design accattivante con tanto di cornetta e display a undici pollici, la schermata della chat in cui un ragazzino dall’inconfondibile cognome di origini ebraiche le dava della cogliona mentre lei spiegava la lezione del giorno. Il messaggio “Lei è una cogliona” non stonava nemmeno tra le domande e le risposte in inglese e, nel fermo immagine, il presunto autore risultava immortalato in una specie di balletto da musical anni ottanta. Nella sua cameretta di studente della secondaria di primo grado sfoggiava riccioli di media lunghezza e un cappello alla Michael Jackson.
Io, per contro, vedevo sul mio monitor un flusso di indirizzi IP che non mi davano la risposta che cercavo, e cioè se era davvero lui il presunto colpevole o se qualche compagno di classe burlone si era intromesso per seminare zizzania nella modalità sincrona imposta dall’emergenza sanitaria. La collega sosteneva che il suo alunno soffrisse di problemi di sicurezza informatica, e io – se mi avesse lasciato parlare – volevo rassicurarla che nessun hacker si impossesserebbe del pc di un ragazzino di dodici anni per scrivere un insulto così morigerato, per giunto dandole del lei. Semmai l’alunno avrebbe interrotto la lezione con un filmato porno con la sua insegnante protagonista, come succede di questi tempi e come se anche alle prof non piacesse divertirsi tanto quanto chi opera in altri settori meno complicati da giustificare durante un lockdown in cui, chi ha evaso le tasse, ora pretende persino aiuti statali in barba ai dipendenti pubblici a cui viene trattenuto tutto sin dal primo giorno di lavoro. Non sapete quante volte ho chiesto allo stato di pagarmi in nero ma non ci sono riuscito.
Comunque poi non ci ho più visto e le ho detto “lasciami parlare” e mia moglie, che ha assistito alla conversazione perché era in smartworking a pochi passi da me, sostiene che sono stato un po’ brusco. Ci siamo così dati appuntamento con tutto il corpo docente per fare festa nel locale in cui hanno girato una scena tagliata di “Footloose”, uno di quei bar della provincia americana con il jukebox. La collega di inglese ha fatto ingresso con la borsa del pc a tracolla mentre noi eravamo già alla seconda o terza birra. Qualcuno ha sostenuto di essere stato un suo amante. Qualcun altro ha messo proprio la titletrack di quel celebre film anni ottanta e tutti gli insegnanti hanno eseguito un balletto che avevamo studiato per l’occasione, durante il quale venivamo ripresi da vicino dalla telecamera e dovevamo battere con il palmo della mano destra la parte superiore del boccale che reggevamo con la mano sinistra, cercando di non bagnarci i vestiti con la schiuma.