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Quando sono in supplenza in una classe di “grandi” non m’importa se l’insegnante che sostituisco ha lasciato qualche attività per chi si prende cura dei bambini in sua assenza. Ho un po’ di lezioni pronte sulla musica e sul digitale, veri e propri mini-Ted Talks per bambini di 9 o 10 anni da affrontare – da parte mia – con un disimpegno impensabile per la mia seconda e, per i bambini (che poi mi diverto a chiamarli ragazze e ragazzi), una boccata d’aria rispetto alla tabella di marcia che la scuola ai tempi del Covid impone. Come i relatori delle conferenze a cui partecipavo quando mi occupavo di comunicazione, arrivo con la mia preso – così si chiamano in gergo i supporti in PowerPoint -, collego il mio hard-disk al notebook della classe, controllo che LIM e casse funzionino al meglio, e poi inizio a far parlare il pubblico (composto da studenti temporanei) sull’argomento che ho scelto.

Stamattina cercavo di capire, in una quarta, come fosse possibile che ci fossero ascoltatori dei Queen e, addirittura, dei Kiss tra gente di quell’età, quando una bambina fino troppo sveglia è rimasta tanto meravigliata dal mio passato di musicista da dirmi che suo papà era una cantante ma poi è morto. I compagni non hanno fatto un plissé, probabilmente hanno già elaborato il lutto di classe. Io mi sono sentito come se qualcuno mi avesse tirato una mazza chiodata sulla faccia. Sabato scorso, su richiesta di mia mamma, sono andato a dare l’ultimo saluto a mia zia – sua sorella -, che ha posto fine all’ultimo mese di sofferenze dopo aver però vissuto 98 anni in uno stato di salute esemplare. Zia Ida, si chiamava così, porta a cinque il numero di parenti stretti visti non da vivi. L’estremo saluto non mi ha lasciato indifferente, considerando poi che era il giorno dei morti. La notizia della bambina orfana di padre che ha saputo liquidare in una battuta il dramma che deve aver sofferto non è stata l’umica stranezza che ha destabilizzato la mia lezione. In classe c’era anche una bambina di origini sudamericane la cui madre è la sorella maggiore di un altro compagno di classe, che quindi è lo zio della ragazzina e che si è dimostrato un patatone malgrado sembri un membro di una gang, quelli che girano con il machete con cui affettano i controllori dei tram.

C’era poi un occhialuto presuntuoso in prima fila che continuava a intervenire in un eccesso tale di entusiasmo che nessun relatore di un TED, quelli veri, avrebbe resistito più di qualche minuto prima di chiamare la sicurezza. Ma alla fine ho portato a casa la giornata. Abbiamo parlato di ascolti, di colonne sonore, di X Factor, di Miles Davis e persino della differenza tra uno xilofono e un vibrafono. Peccato per le mascherine, per non potersi dare il cinque e tutte quelle cose che avvicinano i docenti agli alunni che non si possono fare più. Ma, pur tra le mille difficoltà della nuova normalità, la scuola resta il più bel lavoro del mondo.

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