Il temuto ritorno della didattica a distanza, che ora si chiama didattica digitale integrata – forse perché l’acronimo DAD presumeva l’esclusiva dell’impegno alla sola componente maschile genitoriale quando invece, a suggerire le risposte ai figli dietro la telecamera, ci sono spesso le mamme – ha reso nuovamente urgente la ricerca di una soluzione condivisa al problema della parte di casa da mostrare alle spalle delle persone quando si presentano in mondovisione a colleghi o studenti. Recentemente ho tradotto uno studio sul tema che riportava una percentuale preoccupante di gente che dichiara di provare vergogna di quello che ha dietro di sé ma non nel senso di culopiattismo, di distorsioni della spina dorsale o, peggio, di follower. Stiamo parlando di sfondi. Il fatto è che gli americani ci vanno giù pesanti con le emozioni e scrivono shame quando invece è solo un po’ di imbarazzo per la credenza con le porcellane della nonna, e comunque la questione ora sembra essere di competenza della privacy e di chi la deve garantire. Le principali piattaforme di videoconferenza hanno adottato funzionalità in grado di utilizzare sfondi finti o di attivare un effetto di sfocatura, peraltro molto efficiente e in grado di occultare inconsapevoli cameo di parenti e animali domestici. Che poi, diciamocelo, quel che si vede è il minimo. Vogliamo infatti parlare dei figli dei colleghi che, mentre le mamme partecipano al collegio docenti o alle riunioni di programmazione, sbraitano come indemoniati durante le partite di Fortnite? Oppure delle tv accese nelle stanze attigue sintonizzate su sante messe o programmi mediaset di gossip del tardo pomeriggio? La nostra vita, con i suoi background e i suoi suoni di sistema, siamo noi. C’è poco da nascondere.