Il pullman o, meglio, la corriera – si dice così dalle mie parti – per tornare a casa dalla scuola in cui insegno oggi è gremitissima, ma nei sogni non ci sono problemi di assembramento, non vedo nessuno con la mascherina, ne deduco che i fatti si svolgono prima della pandemia. Finalmente qualcuno scende all’unica fermata di uno dei centri abitati che si incontrano prima del mio, un borgo di campagna con quattro case in croce. Mi avvio, perdendo l’equilibrio per le curve del percorso, a occupare uno dei sedili liberi, e mentre sto per raggiungere quello che ho adocchiato una ragazza seduta mi ferma e si rivolge a me usando un’espressione molto familiare. La guardo tra il sorpreso e l’imbarazzato perché si tratta della citazione di un post di questo blog, anche se ora non ricordo bene quale. Mi colpisce la disinvoltura con cui mi parla, quella che usano i fan più audaci quando incontrano le loro popstar preferite nei luoghi della movida e li fermano per chiedere un autografo. La ragazza ha poco più di vent’anni e porta l’apparecchio, a conferma del fatto che i sogni probabilmente li registrano nel momento in cui siamo al massimo della nostra forma, per dare una versione al top di noi stessi agli altri protagonisti che li interpretano nonché agli spettatori. Mentre mi confessa di aver scoperto il mio blog osservandomi mentre scrivo i post usando la app di WordPress sullo smartphone durante i viaggi della mattina e di essere così diventata una mia lettrice, si avvicinano un paio di sue amiche a ricordarle che devono scendere, la fermata di Rivierasca si avvicina. Una in piedi mi dice addirittura che il mio blog glielo ha consigliato suo padre, un particolare che aumenta la mia autostima tanto da convincermi che potrò finalmente ingannare il tempo dei prossimi viaggi – siamo tutti pendolari quotidiani – flirtando un po’.
Le fan scendono e io prendo posto tutto contento per continuare la lettura del libro. Al capolinea recupero la bicicletta e mi dirigo verso casa, ma vedo movimento intorno all’ingresso del Cinema Nuovo, chiuso da tempo. Lascio la bici, senza legarla, appoggiata al muro dell’agenzia viaggi di fronte per entrare a dare un’occhiata. La platea è gremita, sul palco una conferenza si avvia alla conclusione. Si spengono le luci e parte un film-documentario dedicato al G8 e ai fatti di Genova. Decido di fermarmi ma prima mi avvio all’uscita per mettere la catena alla bici. Come supponevo, la bicicletta non c’è più. Chiedo alla donna che lavora all’agenzia viaggi ma non si è accorta di nulla. Penso così al motivo che, nella mia vita, ricorre con frequenza: mi succede qualcosa di bello e dopo facilmente accade, subito dopo, qualcosa di poco piacevole a compensare le sensazioni di gioia e di pienezza di me provate. Mi affretto così a tornare a casa a piedi e la casa, come sempre, è quella dove sono nato e cresciuto. Mi metto sul divano a fianco di mia moglie a guardare un po’ di tele ma suona il campanello. Qualcuno va ad aprire la porta e dal salotto intravedo superare la porta dell’ingresso mio cognato – quello che mi ha truffato appropriandosi della parte della casa di campagna di famiglia che spettava a me – con suo fratello, un tizio poco raccomandabile quanto lui.
A quel punto non ci vedo più dalla rabbia: come è possibile che i miei genitori abbiano mantenuto rapporti con la persona che ha distrutto la famiglia e ha aggravato le condizioni di salute di mio papà? Inizio a comportarmi proprio come quando mi vengono gli attacchi di ira da sveglio: l’emozione si impadronisce di me, non mi vengono le parole se non frasi sconnesse, quando invece vorrei demolire tutto con la mia ironia. Mi chiudo in camera per darmi una calmata sperando invano che qualcuno venga a vedere come mi sento. Quando torno di là l’appartamento dei miei, nel frattempo, si è riempito di gente. In cucina, intorno al tavolo, seduto insieme a mio cognato c’è uno sconosciuto che si alza immediatamente per venire a presentarsi, forse ha capito chi è l’autore del sogno. Anche la sala da pranzo è piena di ragazzini, ci sono bevande e analcoliche e bicchieri di carta sul ripiano della madia, qualcuno deve aver organizzato una festa. Mi verso qualcosa, mi è venuta sete dall’incazzatura provata, e vedo Marco e Christian, due dei miei alunni di seconda tra i più simpatici. C’è il frastuono tipico delle occasioni in cui si fa baldoria e, per conversare, è bene appropinquarsi alle persone per capire cosa ci dicono. Ora, a scuola, con la mascherina è fondamentale. Christian mi vede, fa cenno di avvicinarmi e, insieme, mi dicono «maestro ti vogliamo bene».