Di preciso non ricordo cosa le ho detto, ma la parola è rimasta incastrata dentro la lattina di coca cola e non si riusciva più a estrarre dalla feritoia che rimane quando tiri via la linguetta, nemmeno capovolgendola con il rischio di bagnarsi il cappotto con qualche goccia di liquido rimasta. È stato quello però il punto di non ritorno, l’insidia che guasta i momenti in cui si sta bene con gli altri, con il gruppo, tutti insieme a spasso per la città, spensierati senza una meta. Così mi sono staccato dai compagni di corso e ho deciso di sistemare qualche incombenza che era rimasta in sospeso.
Il libraio di Borgo Incrociati mi aveva assicurato che avrebbe restaurato il primo tomo della storia della letteratura italiana, così dapprima sono ripassato nella sua bottega facendo un giro assurdo dall’esercizio a fianco – una specie di pub gestito da Sandro del Mokambo, sono sempre affascinanti i locali notturni prima dell’apertura, quando non risultano fitti di gente che impesta l’aria con le sigarette – trasportando il libro su un carrello perché altrimenti non sarebbe passato da un vicolo così stretto. Mi è persino caduto il libro scendendo i gradini, tanto che si è ulteriormente danneggiato, il tonfo non ha lasciato intatta nemmeno la speranza. Il libraio – un giovane smilzo con la barbetta conciato come un freakettone con un gilet di pelle scura – però si è mostrato ancora più pessimista, e quando ha colto il mio disappunto dato che ero tornato apposta da lui per fargli sistemare le pagine strappate, dopo che ero già passato la mattina per un preventivo di fattibilità, considerando che si vedeva lontano un miglio che gli affari non gli giravano per niente bene (probabilmente erano ancora i postumi dell’alluvione) si è inventato un tipo di restauro mai sentito, assicurandomi che tutto sarebbe filato per il meglio.
La seconda tappa è consistita in un saluto tutt’altro che disinteressato alla mia futura padrona di casa, una negoziante con cui stavo tessendo rapporti per ingraziarmela affinché affittasse a me il solito appartamento, quello che ricorre nei sogni ubicato in un punto inaccessibile della parte alta della città vecchia dove, per una cosa o per l’altra, non riesco mai ad entrare. La casa era ancora occupata dai vecchi locatari e, malgrado ciò, una visita giusto per immaginarmi come sarebbe stata abitata da me me la sarei fatta.
Poi, finalmente, sono arrivato a destinazione giungendo nell’androne del liceo. Era tutto come ai vecchi tempi: tante ragazze e ragazzi tutti insieme, senza mascherina e timori di contagio. Ed è lì che ti ho scorto tra gli altri, probabilmente eravamo già in una fase avanzata dei nostri preparativi amorosi perché, su consiglio di una compagna, ho deciso di avvicinarmi. Ci siamo messi da parte, appoggiati alla porta finestra che dà sul cortile dove c’è il campo di pallavolo. Avevi i capelli corti color cenere e una treccia colorata che scendeva sulle spalle. La pelle del viso chiara proprio come la ricordavo. Il resto degli studenti nel frattempo si era dileguato, probabilmente dirigendosi alle rispettive classi per la prima lezione dopo l’intervallo. Siamo rimasti solo noi e un tuo amico che faceva la fila per il bagno e ci ha chiesto, visibilmente provato, da quanto tempo fosse occupato. Ma la conversazione tra noi due si è fatta inevitabilmente sempre più intima. I nostri volti si sono trovati troppo vicini tanto che ti ho baciata e sono stato io il primo a sorprendermi.