Agli amici compagni tradizionalmente anti-americani mi vergogno un po’ a dire che, ogni volta in cui passano in tv il film “Argo” di e con Ben Affleck, non riesco a non vederlo. Lo stesso impulso che avverto per i “Blues Brothers”, “Frankeinstein Junior” e pochi altri. Anzi, farei lo stesso con “Smoke” ma sono secoli che non viene trasmesso sul piccolo schermo.
Il problema sta nella contraddizione di fondo. Se la critica alla rivoluzione khomeinista la fa una voce interna, penso per esempio a “Persepolis”, va tutto bene. Se ne parla un americano occorre stabilire l’equilibrio tra le cause contro cui si è manifestata quella rivoluzione e gli effetti. La crisi degli ostaggi in Iran è scoppiata perché gli USA erano accusati di proteggere lo scià e non ci pensavano minimamente a riconsegnarlo. Una dicotomia che va letta quindi in chiave benaltristica, un po’ come l’estrema destra che parteggia per i palestinesi in chiave anti-israeliana ma poi, quando si accorge che i palestinesi sono anche arabi e scuri di pelle e vengono in Europa a rubarci il lavoro e le donne, va in tilt.
Per certi anti-americani è dura ammettere che qualcuno il lavoro sporco di menare le mani per correre in aiuto e difendere qualcun altro che è impossibilitato a cavarsela da solo deve pur farlo. Il rischio di circondarsi dell’amico che tira una testata al bullo grosso il doppio di te che vuole impossessarsi della tua merenda è che poi, quando va in giro ad attaccare briga con il prossimo perché gli piacciono le zuffe, mica puoi liberartene perché, alla successiva angheria che subisci, lui se ne ricorda. Per capire gli Stati Uniti bisogna guardare “Gran Torino” di Clint Eastwood. Gente guerrafondaia che vota repubblicano ma poi si fa crivellare di proiettili per proteggerti. Prendere o lasciare.
Per questo il film “Argo” che – secondo gli anti-americani – gronda americanismo da ogni frame non è proprio un trofeo culturale che un buon intellettuale di sinistra vorrebbe mostrare volentieri durante una conversazione. A meno di non spostarsi talmente a destra da fare il giro argomentando con le reali qualità del film: la ricostruzione filologica del 1980; il montaggio con la dilatazione dei tempi per incastrare le scene più concitate; il luna-park nel senso di baracconata cinematografica; il vinile di “IV” dei Led Zeppelin e il piatto su cui gira per la riproduzione di “When the Levee Breaks” durante la festa (festa tra virgolette) la sera prima della fuga, con il braccio e la puntina che scendono correttamente oltre la metà della facciata anche se sfido chiunque a centrare il solco perfettamente così e imbroccare l’inizio della canzone; Ben Affleck che è comunque bombabilissimo; le macchiette che ostentano l’essenza di Hollywood e cose di questo tipo.
Ma, più di ogni altra cosa, a me di “Argo” piace la tensione che mette ogni volta anche se so che va a finire bene, e ogni volta ho paura che qualcuno, per farmi uno scherzo, abbia cambiato il finale, con i sei canadesi e Tony Mendez che non ce la fanno, vengono beccati all’ultimo sul volo della salvezza. Le guardie della rivoluzione li fanno scendere dall’aereo e li impiccano all’aeroporto senza tante storie.
Poi, una volta, mi sono tradito dichiarando la mia passione per “Argo” con un carissimo amico anti-imperialista come me, uno di quelli che negli anni successivi alle Torri Gemelle, ogni 11 settembre, ci ricordava che nella stessa data del 1973 la CIA bombardava il Palacio de La Moneda e chiedeva, provocatoriamente, che cosa avessero fatto di così tanto male gli americani per essere invisi al mondo. Uno che, anni fa, è persino stato in vacanza a Teheran e che, quando gli ospitali iraniani lo fermavano per strada per chiedergli che cosa ci facesse un occidentale da quelle parti, gli rispondeva che il vero terrorista fosse George W. Bush. Ma poi gli anni sono passati, i capelli sono imbiancati, il radicalismo è stato stemperato dal buonsenso, e così il mio amico mi ha sorpreso confidandomi che, a vedere “Argo” al cinema (è persino andato a vederlo al cinema), si è divertito un mondo.
Da allora mi sono rasserenato e posso dire, con orgoglio, che ogni volta in cui passano in tv il film “Argo” – che ormai chiamo “Argo vaffanculo” – di e con Ben Affleck, non riesco a non vederlo. Lo stesso impulso che avverto per i “Blues Brothers”, “Frankeinstein Junior” e pochi altri. Anzi, farei lo stesso con “Smoke” ma sono secoli che non viene trasmesso sul piccolo schermo.
E nessuno che protesta per la mancata messa in onda di Smoke.
D’altronde siamo nell’epoca delle svapo.
Hai da accendere?