A Venosa è nato Orazio, il poeta del monte Soratte e del carpe diem. Lo so perché un collega della secondaria, in vacanza come me in Basilicata, mi ha consigliato di allungare la visita a Matera facendo una puntata lì. Il fatto è che non me lo ricordavo, malgrado abbia dato tutti gli esami di latino possibili e immaginabili, e la lacuna mi ha talmente demoralizzato che ho deciso che non me lo dimenticherò mai più. Se fossi uno che si fa i tatuaggi mi farei scolpire Venosa sul braccio ma non sono quel tipo di persona. Ho visto l’indicazione per Venosa arrivando in Puglia sull’autostrada e ho raccontato l’aneddoto a mia moglie. Poi ho pensato che quando vedo il cartello di Carrara mi viene in mente “Shine on dance” e conosco le uscite tra Bologna e Roma grazie a una celebre canzone di Venditti. Però quando si è in prossimità della capitale e si vede l’indicazione per Soratte cerco di ricordare l’ode “Vides ut alta stet nive candidum” e quel passaggio in cui si parla di mettere tra le esperienze positive qualsiasi cosa il futuro ha in serbo per noi. Cerco una citazione d’effetto da mettere su Facebook ma poi ci rinuncio e sono contento di lasciar perdere. Ho ascoltato però la guida che abbiamo assoldato per gli scavi di Pompei ed Ercolano con la venerazione che riservo alle semidivinità. Si chiama Lello e conosceva così tante cose che non mi basterebbero dieci vite per impararle tutte. C’era uno, una volta, che si dava delle arie perché sapeva di non sapere. A me la mia ignoranza mi manda in depressione e sapere che non ho nessuna voglia di impararle è ancora più deprimente. E, con Venosa, siamo solo alla lettera V ma l’ho estratta come si fa quando non si vuole seguire l’ordine alfabetico, malgrado quanto ho dichiarato prima. V per Venosa, altro che V per vendetta.