Mia figlia e un’amica hanno acquistato due biglietti lo scorso febbraio per un concerto che si sarebbe dovuto tenere a fine agosto. Poi è successo quello che successo e l’artista (chiamiamolo così) ha rimandato il tour al prossimo anno. Il concerto di agosto è slittato a fine luglio 2021. Ho pensato che ci sono possibilità che a luglio 2021 a mia figlia l’artista (continuiamo a chiamarlo così) non piaccia più oppure, più semplicemente, a luglio 2021 mia figlia e l’amica potrebbero essere via da qualche parte. Da quando conviviamo con il Covid-19, la mascherina e tutte le paure associate i piani sul futuro non sono mai stati così azzardati. L’industria della musica ha preso una bella batosta e apprezzo l’ottimismo e l’entusiasmo con cui chi organizza concerti, tour e festival pubblica locandine di eventi organizzati tra dodici mesi se non di più. L’impressione che se ne ricava è quella che il duemila e venti non sia proprio mai esistito e che tutti noi non vediamo l’ora che finisca. Siamo disposti a sprecare il tempo pur di accelerare il passaggio al nuovo anno come se bastasse cambiare il numero e il nome per rimettere a posto le cose come erano prima. I grandi eventi della prossima primavera e dell’estate che seguirà sono già tutti confermati. Leggo i post in cui band e cantanti danno la notizia della loro partecipazione così remota con gioia e felicità come se domattina, al risveglio, avessimo un anno in più. Ma io non voglio avere un anno in più. Anche se il duemila e venti fa schifo, e come ho letto in una vignetta divertente ha spodestato dalla top ten della numerologia i vari 13, 17 e 666, io non cedo nemmeno di una settimana, di un giorno, di un’ora o di un minuto e persino di un secondo. Anzi, spero proprio che tra questo post e il concerto dell’artista (chiamiamolo ancora così) di cui mia figlia e la sua amica sono (al momento) delle fan passi un secolo, un millennio. Facciamo durare il tempo per il tempo che ci vuole. Fatelo almeno per noi anziani.