[questo articolo è uscito su Loudd.it]
A metà anni 80 la 4AD costituiva quasi un genere a sé, con quel modo onirico di interpretare il soft-gothic e quelle voci – a partire da Lisa Gerrard ed Elizabeth Fraser – che facevano a gara a conquistare la mela destinata alla più eterea. Alcuni aspetti dell’evoluzione della new wave introspettiva che ha caratterizzato un periodo così fondamentale per la musica li troviamo in chiave post-pandemia nel nuovo lavoro di una band dei giorni nostri, artisti agli esordi ma dalle idee tutt’altro che confuse.
I Team Picture si definiscono “a 6 piece music outfit who live in the north of England”, probabilmente Leeds. Hanno pubblicato un mini-album dal titolo “Recital” nel 2018 e, a partire dallo scorso inverno, si sono messi al lavoro sul primo disco, “The Menace of Mechanical Music”, uscito in questi giorni per la Clue Records. Il loro sound è un moderno compendio di Cocteau Twins – alleggeriti dalla gravità degli effetti con cui la band di Robin Guthrie mandava in orbita le loro composizioni lontano dal mondo degli esseri fatti di carne e ossa – con un po’ di Sugarcubes e qualche eco di Prefab Sprout.
Per tenere a bada gli ascoltatori più nostalgici però è bene sottolineare quanto la musica dei Team Picture sia attuale, una sorta di Arcade Fire senza incursioni nel superfluo o di The Cure che ripercorrono la vita al contrario, come quel racconto di Francis Scott Fitzgerald. Vecchi esponenti del dream-pop che vivono nel corpo di gente che a malapena avrà venticinque anni. Facili reminiscenze derivanti dal continuo passaggio di microfono tra femminile e maschile, voci alternate che potrebbero essere strumenti come tutti gli altri, tanto sono rarefatte e musicali.
Il paradosso è che “The Menace of Mechanical Music” è anche il titolo di un saggio del compositore e direttore di banda John Philip Sousa, che dagli USA di inizio secolo scorso metteva in guardia contemporanei e posteri contro la minaccia nella musica fatta con le macchine. E, cento anni dopo, la proposta di un genere indubbiamente fuori dagli schemi come quello dei Team Picture ci rassicura. Nessuna intelligenza artificiale soppianterà quello spleen tipico di noi umani che ci fa sedere depressi davanti a un sintetizzatore – vi concedo anche una chitarra elettrica – a cantare i nostri dispiaceri esistenziali.
“The Menace Of Mechanical Music” è un disco che dovete letteralmente consumare. Ogni traccia contiene una sorpresa: la languida matematica di “Baby Rattlesnake”, gli acuti femminili che si fondono negli archi artificiali di “Sleeptype Auction”, gli echi di Kate Bush di “Flower Pots, Electric Beds”, il folk-prog circolare di “this is the”, l’erotismo di “Handsome Machine”, il dark di “Compartment(s)”, il post-country di “(Diffuser)”, il synth-pop di “Rock Hudson Tragedy”, i Cars di Ric Ocasek di “Keep Left”, la melodia soul di “Slowest Hype”, che mai penseresti di trovare in un gruppo come questo, per finire con il folle spoken-word di “Quit Reading”.
In poche parole, l’impressione è che i Team Picture abbiano svuotato tutte le bottiglie di musica liquida degli scorsi quarant’anni nella loro sala prove per lasciarla evaporare come si fa come quei diffusori per ambienti, e respirarla con l’ausilio di strumenti elettrici (sempre puliti) ed elettronici, a supporto di voci sopraffine. “The Menace Of Mechanical Music” è indubbiamente una delle novità più convincenti di quest’anno.