Trascorrevamo le pause pranzo a Berna. Era comodo: prendendo il volo da Linate delle 12.50 all’una io e i colleghi mettevamo le gambe sotto il tavolo in una trattoria tipica svizzera. Il tempo di sentire in aereo quella pressione del decollo che ti schiaccia contro lo schienale che già era il momento dell’atterraggio. Nel sogno non facevo caso al menù. So solo che dopo il caffè, vestiti in business casual di tutto punto, gironzolavamo per il centro commerciale perché, a differenza di quelli italiani, ospitava brand e negozi mai visti nei nostri. La cosa strana è che proprio quel giorno, sceso dal volo di ritorno esattamente un’ora dopo, dovevo rientrare in classe perché non avevo ancora terminato gli studi, c’erano lezioni da frequentare e soprattutto dovevo prepararmi per sostenere l’esame di maturità scientifica. Seduto al mio banco attendevo l’ingresso dell’insegnante di scienze dei materiali e, scorrendo il libro di testo, mi accorgevo di non aver studiato mentre il mio compagno – uno dei migliori – mi ricordava che, quel giorno, il prof avrebbe interrogato. Erano i primi giorni di scuola e un’impressione negativa correva il rischio di pregiudicare l’impressione che il prof avrebbe avuto di me. Come sempre mi sforzavo di comprendere perché, pur avendo già conseguito una laurea, fossi ancora lì a farmi cogliere impreparato da un docente di una materia così superflua per il mio lavoro. Peccato che scoprire la risposta coincideva con il risveglio. Tutto sommato una giornata così mi piacerebbe trascorrerla ancora. Una soltanto, non di più.
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