Non si sa niente. Non si sa quando ricomincerà e, se ricomincerà, in che modo ricomincerà. Quanti saremo, dove saremo, in che modo saremo disposti, a quale distanza. Non sappiamo se saremo tutti insieme o metà in classe e metà a casa che ci seguono con il computer. Addirittura, nel caso, se ci seguiranno in streaming o in videoconferenza. Non sappiamo se faremo dei turni e, se li organizzeremo, quali criteri dovremo adottare. Ci dovremo basare su livelli di competenze oppure mescoleremo quelli più indietro – diciamo così – con quelli più avanti? Non si sa chi verrà in classe la mattina e chi al pomeriggio e che cosa faranno gli alunni esclusi dal turno in classe mentre i compagni sono in classe. Poi non si sa se torneremo definitivamente oppure se ci sarà un’altra diaspora preventiva per evitare il picco influenzale e, nel caso, se questa nuova serrata sarà a ottobre, a novembre, a dicembre, a gennaio, a febbraio oppure di nuovo a marzo. Non si sa se manterremo lo stesso assetto scolastico, se ci saranno postazioni nuove e singole, piccoli gusci che proteggeranno i bambini dai bambini e terranno fuori il bello della vita insieme. Non si sa se la mensa sarà in mensa o se i pasti si consumeranno in classe con i collaboratori che li distribuiscono al piano, proprio come negli ospedali. C’è chi propone che i pasti è meglio portarseli da casa. Non si sa se misurare la febbre all’ingresso metterà in crisi i genitori che portano i bambini a scuola anche con trentotto di febbre perché, a casa, non sanno come organizzarsi e, nel caso, come si organizzeranno non potendoli lasciarli a scuola. Serviranno dei libri o basterà Internet? E le attività manuali? E motoria? Non si sa se i docenti, in questi mesi, stanno ripensando metodo, didattica, prove pratiche, organizzazione delle lezioni in funzione del fatto che non si sa niente. Non si sa niente e dobbiamo essere pronti a tutto.