il made in italy è così

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Nel giro di qualche ora sono passato da “Modern Love” a “Made in Italy” ed è difficile trovare un termine di paragone efficace per descrivere la faglia che separa le due serie televisive. Se la prima fosse una rubrica settimanale pubblicata dal New York Times (e infatti è tratta da una rubrica settimanale del New York Times) la seconda potrebbe essere un articolo dedicato ai controlli sulla movida sull’edizione del rhodense di Settegiorni. Non c’entrano nulla l’una con l’altra, sia chiaro. L’unica cosa che hanno in comune è che sono disponibili su Prime Video, che sono serie tv divise a episodi e che, al momento, è disponibile una sola stagione di entrambe. L’aspetto che le colloca agli antipodi è facile da immaginare. “Modern Love” parla di amore ed è americana, “Made in Italy” parla della moda ed è italiana. Non solo. Sono arrivato per caso a “Made in Italy” premendo per errore l’icona sul menu di Prime Video e sia mia moglie che io abbiamo deciso di arrivare sino in fondo. Di “Modern Love” invece ne avevo letto benissimo, l’ho scelta con fermezza ed è volata via nella sua perfezione narrativa lasciandoci in lacrime nell’apoteosi finale, per questo non voglio aggiungere altro. Dovreste guardarla tutti perché, davvero, è una delle cose più belle mai viste.

Non ci resta quindi che parlare male di “Made in Italy”, che è un po’ come sparare sulla Croce Rossa. Sicuramente sarà il solito problema che i confronti tra un’industria fatta da professionisti (la fiction americana) contro un genere praticato da dilettanti (la fiction italiana) non si possono fare, un po’ l’annosa questione delle partite dell’NBA contro il sopravvalutato basket maschile locale. Ma la filiera di cose sbagliate inizia probabilmente da lontano. Occorre risalire ai problemi che hanno gli italiani con i film e le fiction sugli anni 70 come “La meglio gioventù” o “Buongiorno notte” e ripercorrere tutta la filiera che rende le produzioni cinematografiche e televisive italiane di così infima qualità.

C’è un problema di stereotipizzazione che abbatte completamente il livello di credibilità di ciò che il telespettatore guarda. “Made in Italy” ne è pieno. Ci sono stereotipi sullo sfondo, come gli spacciatori di droga con un look che nel 76 sarebbe stato degno di una festa di carnevale. E poi l tossico, l’omosessualità, i cortei e la lotta armata. Ci sono stereotipi protagonisti del mondo della moda, della comunicazione e della pubblicità.

C’è anche un clamoroso errore sulla stereotipizzazione della musica, cannata di quasi dieci anni e davvero non si capisce cosa c’entrino le canzonette anni 60 in quel decennio successivo così distante. Il ricorso ai temi di sottofondo che richiamano al limite del (voluto) plagio le melodie in auge trasmette ancora di più l’effetto di vorrei ma non posso permettermi i diritti delle canzoni originali.

Poi c’è Milano che è una città diversissima dall’epoca di “Made in Italy”, ed è difficile riprendere gli ambienti esterni senza incorrere in qualche grattacielo, qualche torre, qualche bosco verticale. Per questo si vedono solo edifici e monumenti ripresi dal primo piano in su, per evitare l’effetto ritorno al futuro della mobilità in condivisione, e la skyline con la Torre Velasca che restituisce solo una parte della metropoli, sempre la stessa e davvero poco rappresentativa.

Gli attori sono terribili e non si capisce se sia dovuto al fatto che dialoghi e sceneggiatura non sono assolutamente credibili, e quindi si fa troppa fatica a recitare, o sono loro come attori a essere dei cani. Su tutti Maurizio Lastrico che mi spiace perché apprezzo come comico ma dietro alla telecamere e in quel ruolo risulta assolutamente inadatto. A questo si aggiunge l’annosa questione della registrazione in presa diretta senza doppiaggio che ci rende incomprensibili buona parte dei dialoghi ma qui potrei essere io a essere sordo. Però, per dire, in “Modern Love” ho capito tutto. I dialoghi sono tradotti bene perché di partenza erano già scritti bene, i doppiatori li recitano da dio e il risultato riesce sotto tutti gli aspetti. In “Made in Italy” non si capisce un cazzo e quando si capisce ci si vergogna di scambi di battute così fuori luogo e quando non ci si vergogna di scambi di battute così fuori luogo ci viene voglia di spegnere tutto perché gli attori fanno pena.

La morale è che la fiction italiana fa cagare, che non ha senso di esistere, che non ha senso di perdere tempo a guardarla e che la peggiore delle comparse di un film di serie zeta americano è ampiamente più brava di Raoul Bova. Al cast, al regista e a tutti coloro che hanno lavorato alla realizzazione di “Made in Italy” rivolgo una domanda: in tutta coscienza e sincerità, voi guardereste mai una serie così?

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