Ero a conoscenza che sarebbe uscita, prima o poi, la terza stagione di Dark, la serie televisiva tedesca creata da Baran bo Odar che è un gustoso compendio mitteleuropeo di tutte le serie tv americane che incrociano fantascienza con gli anni 80 con una spruzzata di “Ritorno al futuro”. Una specie di “Stranger Things” con le Birkenstock e i calzini. Non credo di spoilerare scrivendo che l’intuizione della stessa persona che incontra e interagisce con il se stesso del passato e del futuro, e resa in questo modo, sia vincente. Il problema di fondo di Dark è che passa da un piano all’altro in modo repentino e non è per nulla semplice stargli dietro. In più, il fatto che le stagioni siano uscite a un anno di distanza l’una dall’altra fa sì che, approcciando la nuova, risulti impossibile ricordare quella precedente. Questi mesi di lockdown e tutto il tempo a disposizione che ci è stato concesso potevano essere sfruttati per rivedere le prime due stagioni, in attesa della terza. Io ci avevo pensato e mi ero pure ripromesso di mettermi davanti a Netflix con carta e penna per segnarmi tutti i passaggi da un tempo all’altro, i personaggi e tutto il resto. Occorre ammettere però che seguire trasmissioni così cupe e ansiogene in momenti di pandemia tappati in casa non è proprio il massimo. Alla fine ho talmente rimandato che l’altra sera, seguendo la prima puntata della nuova stagione, non solo non ci ho capito nulla ma mi sono pure addormentato verso il finale, con mia figlia che mi prendeva giustamente a gomitate per farmi stare sveglio. Ho deciso quindi di riprendere “Dark” da capo perché, secondo me, ne vale la pena. L’unica paura che ho è che, a forza di avere lo stesso personaggio prima, dopo e durante, alla fine si scoprirà che ce n’è solo uno che si muove come un ossesso per salvare l’umanità e che quindi la produzione avrebbe potuto risparmiare sul cast assoldando un buon truccatore e niente più. Certo, far le riprese sarebbe stato uno sbattimento, ma io ci avrei provato.