E pensare che non era nemmeno la fine del mondo, una volta assaggiata, la pasta con le sarde, perché non avevo il finocchietto e non l’ho messo. Se state ancora leggendo malgrado l’eresia gastronomica è bene che sappiate che in compenso i vicini di sotto sono proprietari di un dondolo sul balcone che cigola per un livello di fastidio inimmaginabile e la loro figlia è rimasta seduta lì sopra tutta la mattina sino all’ora di pranzo, e mentre cucinavo con questo sottofondo ritmico ho pensato che se la nuova data dell’apocalisse, quella del 21 giugno, è stata ricalcolata da una rilettura dei Maya, chi è che spreca il proprio tempo dedicato alla lettura a leggere i Maya? Potrei elencare almeno un centinaio di romanzi che preferirei o anche libri di poesia, disciplina a cui mi sono riavvicinato per motivi che non vi sto a dire. Uno su tutti è Clemente Rebora, il suo avvampato sfasciume e il gonzo pecorume dei ragazzi di scuola, con le loro teste a palloncini. E, vi assicuro, il suo non è un riferimento alle feste di compleanno di bambini come quelle che si svolgono – fin troppo spesso – nei giardini delle villette a schiera qui davanti, le stesse in cui ogni due per tre suona l’allarme antifurto ma dalle quali, pur affacciandomi prontamente al balcone, non ho mai visto nessuno fuggire con il sacco pieno di argenteria e la mascherina – non quella anti-contagio ma quella della Banda Bassotti – sul volto. Ecco uno dei tanti limiti del lavoro da casa. Un’amministrazione comunale seria dovrebbe imporre un giorno solo al mese in cui tutti i proprietari di giardini possono accelerare a manetta con il loro tosaerbe in modo che il danno acustico resti circoscritto. Il giorno degli sfalci e delle potature. Altrimenti, davvero, ogni dannata mattina c’è qualche pensionato che si dà da fare nell’accudimento della proprietà privata. Se avessi una villetta con giardino probabilmente nel giardino avrei una giungla e, con il clima degli ultimi tempi, sono certo che sarebbe rigogliosissima e popolatissima di animali selvaggi.
Aggiungerei anche una cosa che non riesco a comprendere bene, pur essendo vicino agli “anta”: ma quale oscuro motivo spinge una persona a falciare il prato ogni 2 giorni, da aprile a ottobre, tutti gli anni? Una forma di sadismo contemporaneamente verso l’erba e verso timpani (e gonadi) dei poveri vicini di casa? Eppure, se ci si lamenta, la risposta di default è che “è un loro diritto, se rispettano gli orari”.
Il diritto di lavorare e/o studiare in santa pace in casa propria, evidentemente, non esiste. Hanno diritti solo i fracassoni, a quanto pare.