Mentre lo spot che usa come jingle il ritornello di “Stella stai” di Umberto Tozzi imperversa nelle case degli italiani costretti in casa dalla paura della fase tre, non riesce difficile ricordare quanta musica di merda sia stata prodotta negli anni settanta e negli anni ottanta, e per smentire quelli che la menano sulle canzoni di una volta versus la trap che ascoltano i ragazzini del duemila e venti possiamo mettere insieme una compilation di Spotify con certe canzoni italiane partorite negli anni di piombo, e zittire finalmente anche le personalità più presuntuose. Diciamo che la musica di merda è vecchia quanto l’uomo, e se oggi chiudiamo un occhio su scivola scivola scivola scivola scivola scivola scivola scivola scivola è perché, quando imperversava nel juke-box, noi facevamo le medie e “Stella stai” o “Ti amo” o anche “Tu sei l’unica donna per me” di Alan Sorrenti ci riportano alla nostra gioventù dorata. Questo non è un atto d’accusa, tutt’altro. A me capita spesso di passarmi in rassegna le hit parade dal 1976 al 1983 e ripercorrere, canzone per canzone, le irripetibili sensazioni provate allora. Trascorro ore con le cuffie collegate al PC a cercare su Youtube tutte le posizioni dalla uno alla cinquanta, indistintamente, perché tra le righe di versi a dir poco demenziali rivivo le estati nella casa in campagna, le vacanze al mare, le prime cotte da ragazzino, la bicicletta da cross, il mondo che c’era allora e che non c’è più e altre amene esperienze che purtroppo non ritorneranno ed è per questo che è importante, ogni tanto, ripercorrerle almeno dei ricordi. Memori di tutto ciò è bene comportarsi in modo più indulgente verso i nostri figli, quando li sorprendiamo in cameretta con lo smartphone acceso su Ghali o i mixtape di Machete. Ogni generazione ha la sua musica di merda. Noi cinquantenni impariamo a badare alla nostra.