Non solo partite di calcio a porte chiuse. L’Eurovision Song Contest si è tenuto in videoconferenza, allo stesso modo in cui mia figlia si sottopone alle interrogazioni di scienze magari senza l’equivalente del post-it con le formule appiccicato sullo schermo così la prof non nota nemmeno l’effetto lettura. Il fatto è che un anagramma di Eurovision è “Ivi suonerò”, per questo la delusione dell’evento targato quarantena è stata epica. Senza contare il fatto che davvero non ho ancora capito chi sia Diodato perché ero convinto si trattasse del noto musicista brasiliano autore del remake kitschissimo di “Così parlò Zarathustra” che è secondo solo alla Quinta di Beethoven in versione dance anni settanta. Poi però ho fatto due calcoli e, tenendo conto che siamo nel 2020, ho capito tutto. Analogo destino per l’appuntamento internazionale con “La parola più difficile”, quella baracconata da primi della classe in cui gente da tutto il mondo si riunisce per decidere chi la spara più grossa. Quest’anno il concorso è stato sospeso per ovvi motivi di veridicità: con il computer acceso – e noi insegnanti lo sappiamo bene – son tutti Einstein. Peccato perché l’Internet, oltre a far prendere dieci a tutti, è utile anche per togliersi le curiosità più bizzarre. Ero convinto che l’edizione del 78 de “La parola più difficile” l’avesse vinta un concorrente italiano con il termine medico-scientifico “interlocutaneo”. Ma mentre lo scrivevo per riportarlo in questo futile flusso di coscienza, il programma che uso per comporre gli articoli me lo ha sottolineato in rosso. Così ho googlato interlocutaneo (anche googlato me lo indica come errore, ma questo è un altro discorso) e ho scoperto che è una parola che non esiste. Forse me la sono sognata. O forse sto vivendo un’esperienza come quel film in cui quel tizio si sveglia e i Beatles non sono mai esistiti, quindi si mette a riscrivere tutte le loro canzoni e diventa miliardario. Questo per dire che in una realtà parallela da dove provengo c’è gente molto colta che utilizza correntemente l’aggettivo “interlocutaneo” e, avendo riportato quello che sembra essere un neologismo qui, a partire da questo momento passerò alla storia per aver introdotto nel vocabolario italiano un termine perfetto per indicare una qualità. Devo solo pensare a quale.