Provate a farvi una birra solo con il boccale, senza niente dentro. Oppure a salire in macchina e stare fermi perché manca il motore. Fumare una sigaretta spenta, che sicuramente è più salutare di una sigaretta accesa ma questo è un altro discorso. Correre sul posto. Seguire una serie su Netflix con la smart tv scollegata da Internet. Ho sentito colleghi insegnanti lamentarsi della stanchezza di fine anno, che è un classico del nostro lavoro, che questa volta però ha cause diverse dal solito. Passiamo ore e ore al computer, dicono in molti, e il nostro sembra esser diventato un lavoro come tutti gli altri, quelli degli impiegati che stanno seduti intere giornate a inserire dati su fogli elettronici o a compilare testi in Word. Ecco, il lavoro che svolgevo prima di fare il maestro era più o meno così. Molto creativo, certo, ma che imponeva i ritmi tipici dell’ufficio. Quando sono entrato in classe la prima volta ho capito che la mia vita era cambiata. Il mestiere del docente si svolge per un buon 70% tra i banchi e il resto in back-end a organizzare lezioni, correggere compiti, cercare attività interessanti per variare l’esperienza didattica degli alunni, aggiornarsi, provare cose nuove, programmare, confrontarsi con i colleghi, sbrigare scartoffie burocratiche con la segreteria, la direzione, l’ufficio scolastico. Scevro di quella corposa componente fatta di facce, voci, corpi, odori, emozioni, tragedie, successi, discussioni, soddisfazioni, gioie, tensioni e relazioni che resteranno per sempre, che è poi più o meno quello che è successo quest’anno, la scuola perde il bello della scuola e diventa un lavoro come tutti gli altri, uno dei tanti che dopo un po’ ti rompi i maroni e ti pesa farlo. Stare al computer a fare lezione e a prepararle c’entra poco con la scuola e, dopo un po’, diventa davvero una professione ordinaria, piatta, monotona, standard e fredda. A me, così, non piace. Non so a voi.