Ho uno scaffale pieno a metà di libri da iniziare. Alcuni li ho presi in biblioteca, altri li ho racimolati da mercatini e scarti. Potrei anche mettermi a studiare italiano, latino e storia per il concorso per le superiori senza contare che il web, di questi tempi, è ricchissimo di offerta culturale. Sono uscito fuori (sul balcone, che cosa credete) e l’aria di Milano è straordinariamente pulita e cristallina. Sembra di essere in montagna, ma è meglio tenere le camminate come desiderio nel cassetto. Le scarpe da running, invece, restano appese momentaneamente al chiodo. Non ho capito se posso permettermi una sgambata nel quartiere ma, nel dubbio, resto a casa anch’io. Faccio degli skip sul posto durante la mia scheda di allenamento a giorni alterni, se i vicini di sotto si lamentano pazienza. Ho persino riesumato il Microkorg, l’unico synth che non ho venduto quando ho deciso di smettere di suonare. L’avevo inscatolato in cantina con un’etichetta con su scritto da usare solo in caso di emergenza. Mi sono messo in poltrona e l’ho poggiato sulle gambe come faccio con il gatto o, più verosimilmente, con il portatile. Il Microkorg è un mini-sintetizzatore dotato di tasti piccoli che permette un’estensione impossibile sulle tastiere normali e quindi consente un approccio esecutivo del tutto diverso. Mi vengono composizioni che non potrei creare in nessun altro modo. Provo un suono e si concretizza un brano nuovo che, fortunatamente, come avviene quando improvvisi, dopo pochi secondi me lo sono già dimenticato. Sopraggiunge il silenzio, una condizione che non capisco e che mi fa riflettere su una cosa che non so esprimere e il cui senso ritrovo nelle parole di Scurati in questa intervista: “La mia generazione è giunta del tutto immatura a questo dramma collettivo, priva di quel sentimento tragico della vita che ha accompagnato per millenni le generazioni precedenti”