milano mia portami via – day #15

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La scuola quando non c’è scuola è una grande scatola vuota. Ci sono i collaboratori che puliscono e disinfettano. Ci sono gli operai del comune che sostituiscono i dispenser per il sapone nei bagni dei docenti. C’è una collega che è passata perché l’hanno avvisata che le maschere fatte con i piatti di plastica che ha appeso per carnevale lungo il corridoio si sono staccate.

Ci sono anch’io. Ho concesso una finestra di un’ora ai genitori dei miei bambini per recuperare libri e quaderni, considerando che la cosa sembra andare per le lunghe. Ho allestito una specie di bancarella all’ingresso e ho consentito l’accesso uno per volta per evitare assembramenti. Ho rivisto Anna, Denis e Marco che sono passati a salutarmi ed è stato doloroso non poterli abbracciare come facevamo fino a qualche settimana fa. Anzi, chissà quanti e quali virus ci siamo scambiati, a essere così affettuosi: al rientro dalle vacanze di Natale a scuola c’è stata un’ecatombe di presenze, sarebbe interessante scoprire se le influenze che hanno afflitto i miei appartenessero già al ceppo maledetto.

La scuola senza la scuola mette malinconia. A tutti ho detto che spero di vederli presto e, in risposta, ci siamo augurati che l’emergenza finisca presto ma con la consapevolezza che non sarà così. A casa va meglio perché vedo solo l’aspetto più faticoso delle scuole chiuse, ovvero la tecnofobia che fa schizzare la pressione agli insegnanti quando si parla di collegio docenti in videoconferenza, di didattica online, di piattaforme per le lezioni a distanza. Mi mancano invece le colleghe che si presentano alle riunioni con i dolcetti e che hanno il senso dilatato del tempo che è tipico della scuola primaria, una dimensione fatta di cose ripetute all’infinito, di aneddoti personali al posto dell’astrazione teorica, di collegialità portata all’estremo.

E anche questa scuola, quando non c’è scuola, continua a essere una grande scatola vuota. La voce dei pochi presenti che rimbalza con il riverbero dalle spesse mura delle aule deserte, le notifiche di WhatsApp che riecheggiano foriere dei timori dei colleghi del sud che sono rientrati a casa in fretta e furia con l’incertezza sanitaria della zona rossa nel trolley, i figli piccolissimi che i bidelli hanno portato con sé al lavoro e che restituiscono l’illusione che ci sia vita, da qualche parte. Non lì, non più, almeno non adesso.

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