La combo clausura + zona rossa ha reso inevitabilmente le giornate tutte uguali. Non ci sono più sabati e domeniche e, ma questa è una fortuna, non esistono più i lunedì mattina e i dolorosi risvegli alle sei dopo il weekend per tirare giù dal letto i figli, far loro la colazione, aspettare che si lavino, si vestano e preparino lo zaino per accompagnarli al capolinea della metro. Non esiste più la domenicosità o sundayness per gli anglofoni, quella sensazione che si provava ascoltando la sigla della “Domenica sportiva” negli anni ottanta o quella di “Amore criminale” oggi, una trasmissione che ogni volta prego mia moglie di non seguire perché aggiunge il disagio di essere di sesso maschile a quello di essere umano, pedina del sistema economico produttivo. Sistema che, di questi tempi, risulta seriamente in pericolo.
Noi insegnanti ci sentiamo in colpa per ricevere – al momento – ancora lo stipendio mensile per stare a casa. Il trucco è darsi da fare per mantenersi utili in qualche modo, ricordando che siamo fornitori pagati di un servizio di cui siamo tenuti a mantenere degli standard sottoscritti al momento della firma del contratto. Per garantire ciò, come prima cosa evitiamo di partire da Milano per rientrare a Pantelleria dai parenti di primo grado. Per due motivi: rischiamo di infettare con il nostro virus nordista le perle del sud – oltre a quelli che viaggiano nei posti accanto a noi- e i nostri studenti e rispettivi genitori potrebbero aver bisogno di noi qui.
Come seconda cosa, diamoci una mossa a diventare insegnanti digitali e inventarci modi per rimanere in contatto con la classe. Le piattaforme che ci possono venire in aiuto sono numerosissime: Google Classroom anche se la vostra scuola non ha attivato la Google Suite for Education, Zoom per fare videoconferenze, Weschool e Edmodo per allestire lezioni e condividere materiale. Ma anche un banale WhatsAppweb con il telefono dei genitori e persino le dirette Facebook possono avere un senso.
Lunedì mattina sarò a scuola per restituire, tenendo le debite distanze, i libri e i quaderni dei miei bambini alle famiglie. Si è già stabilito che sarà tutto fermo fino al 15, si dice che non si rientrerà in classe se non ad aprile, i più realisti parlano di dopo pasqua, questo vuol dire che l’anno scolastico nell’anno del coronavirus è già finito. Non mi sembra così grave. L’anno prossimo avremo più da fare perché tutte le scuole si trasformeranno in uno di quegli istituti che permettono di recuperare due anni in uno e chi ha superato l’esame di maturità, sempre che si riesca a organizzare in qualche modo, avrà preparato qualcosa in meno. E quindi? Ne risentirà l’economia, lo sviluppo, la civiltà stessa? Verranno meno le nostre funzioni primarie?
Piuttosto, mi sembra molto grave che molti notebook di oggi siano stati provvisti di tastiere con i tasti funzione al contrario. A ogni tasto funzione è associato un comando – modalità aereo, aggiungi e togli luminosità allo schermo, disattiva l’audio – e così per rinominare un file con il tasto F2 o fare il refresh di una pagina con l’F5 devo premere i tasti funzione in combinazione con il tasto Fn. Questa novità testimonia il mondo alla rovescia in cui viviamo oggi che non è più di dominio degli informatici bensì della gente comune e che è finito il primato dei dispositivi professionali a vantaggio di quelli consumer pensati per acquirenti poco nerd come gli insegnanti come me che possono così mettersi in pista per dimostrare ai loro alunni che nessuno si è dimenticato di loro.