Li avete visti anche voi mangiare topi vivi? Ma no, non i cinesi. I Visitors. Che poi, voglio dire, paese che vai, gastronomia che trovi. Il mio ex datore di lavoro ha fatto armi e bagagli e si è trasferito in Thailandia dove ha avviato un’impresa alimentare basata sugli insetti, pasta fatta con la farina di grilli, barrette a base di polvere di bachi da seta e cose così. I racconti di chi ha viaggiato in oriente e ha assaggiato le cavallette fritte sono piuttosto diffusi. Facile che in Cina ci prendano in giro per l’agnello a pasqua o il piccione servito nei ristoranti di campagna del nord Italia. Tra le numerose cose che si possono fare in quarantena c’è proprio la sperimentazione culinaria. A me non mi viene mai, questa voglia, e dopo aver trascorso il giorno tra preparare lezioni per la didattica a distanza della settimana prossima, una corsetta quotidiana e un film su Netflix, mi viene sempre voglia di farmi portare una pizza o di ordinare i miei noodles preferiti al mio ristorante cinese di fiducia ad Affori, a qualche km da qui. L’ultima volta che mi sono servito da loro per l’asporto – eravamo già in piena emergenza coronavirus – avevano appeso all’ingresso un vistoso quanto inquietante cartello in ideogrammi. Dentro non c’era nessuno (è un locale frequentatissimo da orientali) e magari l’avviso intendeva far stare alla larga i connazionali. Scherzo, eh. Piuttosto, sapete chi vi saluta tantissimo? No, non stocazzo, ma una coppia di amici che si sono trasferiti da tempo a Hong Kong – non chiedetemi perché – e che si sono fotografati in un ascensore con le mascherine. Lei la conosco da quando ho soggiornato a Brooklyn, una vita fa, in un appartamento di sfaccendati che accumulavano cibi scaduti nel frigo. Erano i tempi di Friends, ma con l’ordine maniacale di Monica proprio non ci azzeccavano. Dormivo in una stanza con uno mai visto prima che lavorava di notte in una web agency e che incrociavo prima di coricarmi e al mio risveglio. In cucina lasciavano delle trappole per topi e, una mattina, ne ho trovato uno (piccolino, mica come quelli a cui fa riferimento Zaia) spiaccicato dentro, con la testa mezza staccata e le budella fuori. Vi assicuro che, tra un topo vivo e uno morto, non ho difficoltà a indicare la mia preferenza.