Stare a casa è bello e tutto quanto ma alla lunga rompe i coglioni. Almeno ieri sembrava uno di quei primi giorni quando si esce vivi dalle catastrofi come si vedono nei film, tutto cieli azzurri e prati verdi e tanta voglia di ricominciare. Oggi è tornato il cielo grigio milano che è più in linea con il bollettino di guerra anche se le istituzioni, finalmente, stanno smorzando i toni per far rientrare la psicosi.
Mi sento in pensione, o almeno immagino che essere in pensione sia così perché non ci sono ancora andato e chissà se mai ci andrò: uno stop produttivo forzato in cui ogni contribuente non può far altro che aspettare. Ma non dovete pensare che sia uno di quelli che non riesce a stare in casa. A casa ci sto benissimo e spero che nessuno degli addetti che controllano che l’Internet funzioni e che gestiscono le commodity base come la corrente, il gas e l’acqua non sia indotto ad abbandonare il posto di lavoro per la febbre del momento. Mi bastano i libri (ne prendo sempre tanti in biblioteca perché non si sa mai), i dischi (ne ho scaffali pieni), il pc da cui sto scrivendo, Netflix e poco altro.
Ho contravvenuto però alla clausura per sbrigare qualche faccenda che, anche se faccio l’insegnante, non riesco mai a sistemare durante la settimana normale. Le giacche pesanti al lavasecco e la macchina dal meccanico per un controllo all’impianto gpl. Il limite delle officine – almeno quelle che frequento io – è che non c’è una vera e propria reception. Ti presenti all’ingresso ma nessuno ti caga perché i meccanici sono troppo presi da quello che stanno facendo. Così aspetti che qualcuno passi di lì e abbia il tempo per raccogliere le tue indicazioni.
L’officina a cui mi rivolgo in realtà ha un’impiegata tuttofare, quella che la scorsa estate a furia di vedermi per problemi alla macchina mi chiamava Roby, ma è sempre al telefono con clienti e fornitori. Stamattina però non c’era il solito casino così sono riuscito ad accordarmi con lei per quello che c’era da fare. Mi ha detto di aver sentito alla radio che stavano per chiudere il paese attiguo al nostro come successo per i focolai del lodigiano, ho subito cercato riscontri con lo smartphone ma non ho trovato nulla. Così ho lasciato l’auto e le chiavi per il controllo e sono tornato a piedi.
Ho avuto tutto il tempo per riflettere e figurarmi cosa stessero facendo a casa i miei alunni, se anche i loro genitori fossero vittime del blocco totale o se avessero parcheggiato i figli dai nonni o da qualche altro conoscente. Da insegnante spero tanto che ci facciano recuperare questa settimana (e le altre che si renderanno necessarie a smaltire l’epidemia) a giugno, e secondo me sarebbe giusto e utile ai fini della didattica e della valutazione. Ho pensato anche di ricordare ai colleghi che la Google Suite che abbiamo in dotazione comprende un sistema per fare lezione da remoto in videoconferenza. Sarebbe bello provarla, e questa mi sembra la situazione più adatta.