la narrativa ai tempi dell’epidemia

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Il farmacista dice di tornare dopo le diciotto e trenta per ritirare la pomata antibiotica senza cortisone che ha ordinato mia moglie. Mentre controlla la disponibilità tra i suoi fornitori il telefono squilla insistentemente. Dietro il banco sono in tre, tutti piuttosto giovani, ed è per questo che da queste parti preferiscono la farmacia comunale. I dottori di una certa età ispirano più esperienza e, di conseguenza, più fiducia, o comunque se qualcuno chiama mentre stanno servendo un cliente riescono a fare due cose simultaneamente. Il fatto è che la telefonata sembra urgente perché dall’altra parte nessuno desiste. Al momento di digitare il pin sul POS il farmacista si decide a rispondere: no, signora, le abbiamo finite, dice. Al termine della conversazione mi porge la copia dello scontrino della transazione e mi dice che a carnevale avrebbe preferito vendere ben altro tipo di maschere rispetto alle FFP3. Così vorrei dirgli che ho prenotato “Febbre” di Ling Ma in biblioteca molto prima che si diffondesse la psicosi per il Corona Virus ma i tempi di consegna, a seconda della posizione in coda, non li decide un’intelligenza artificiale. Così ho seguito la storia di Candace proprio mentre l’epidemia della nuova variante della polmonite si moltiplicava e colpiva persone secondo uno schema dettato dalla casualità. Un contagio random che nel mondo stretto e nel secolo brevissimo in cui viviamo e moriamo ci deve far riflettere sulla necessità di collegare per forza tutto e tutti. I giornali sostengono che l’isolamento sia la migliore autotutela e la battuta che vorrei fare, prima di congedarmi dal negozio, è che non devo certo aspettare che qualcuno mi dica di non uscire di casa. E chi si muove.

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