Nella classe di mia figlia la percentuale di genitori separati e divorziati è impressionante. Non che ci sia qualcosa di male, per carità, non sono certo un pillon qualsiasi. Il fatto è che si creano dinamiche piuttosto curiose dal punto di vista di chi invece ha esperienze di situazioni durature, sia nel nucleo di origine che nel contesto attuale. Mi riferisco ad adolescenti che hanno il papà che vive a trecento km di distanza, la mamma professionista che lavora venti ore al giorno, il fratello che studia all’estero e loro alle prese con un livello di autonomia (tendente alla solitudine) di non facile gestione. Bisogna cioè essere oltremodo determinati per non perdersi quando sei così giovane e i riferimenti li devi trovare dentro di te. Tra i miei alunni le cose vanno un po’ meglio ma in periferia, si sa, abitano ceti più bassi che medi per i quali trovare il tempo e le risorse per mettere in dubbio le scelte di vita è fuori discussione, mentre la scuola di mia figlia – nel centro del centro della metropoli – ha un’utenza di ben altra estrazione con gente che si può permettere di mantenere tutte le famiglie che vuole.
Nella settimana di San Valentino ho scoperto che c’è qualche collega che tratta la questione come si fa nella scuola primaria, cioè con riferimenti ossessivi alla ricorrenza in corso nelle attività didattiche. Il cuore fatto con l’origami di arte, il dettato sui valori del volersi bene di italiano, quanti bigliettini ha ricevuto Giorgia se Luca gliene ha scritti quattro e Leonardo tre in matematica, la storia del santo dell’amore in religione e così via. Io sono in prima e voglio rimandare i giochi dei fidanzatini almeno alla quarta, quindi ho mescolato le carte e ho parlato dell’amore per i genitori (indipendentemente da quanti, quali e di che sesso siano), per sorelle e fratelli, per i nonni e per gli animali domestici, ovvero quell’insieme di persone e cani e gatti che sta intorno ai miei alunni e che compone la loro famiglia, approfittandone – per esempio – per scoprire insieme come si scrivono i loro nomi e come si traducono i componenti della famiglia in inglese.
In musica, invece, l’assist me lo ha fornito Daria, una delle mie preferite (e lo so che non si dovrebbe). Daria ha una sorella maggiore, Giovanna, che ha finito la primaria lo scorso anno. Non era nella mia quinta ma avevo avuto a che fare con lei perché nel corso di una supplenza di musica aveva proposto l’ascolto di una canzone di Vasco. Il motivo? Vasco è il cantante preferito dai genitori e, insieme alla figlia, hanno già partecipato a più di uno dei sui interminabili concerti. Stamattina Daria, in un’analoga attività, ha confermato il quadretto proponendo, come sua canzone preferita, un altro brano del rocker nazionale. Ho preso la palla al balzo e ho condiviso con il resto dei suoi compagni tutta la storia: un nucleo famigliare fortemente unito anche nella musica. Peccato che a me Vasco non piaccia per niente. Ho però fatto finta lo stesso di apprezzarne le canzoni mimando con sentimento l’atmosfera rock che si era creata. D’altronde non avrei mai rovinato quel momento perfetto per parlare d’amore per nulla al mondo.