La mia principale abilità, quella di instancabile ascoltatore, è talmente raffinata che quando non ascolto chi si sta rivolgendo a me perché penso ad altro ma continuo a fare vigorosamente sì con la testa, l’interlocutore manco se ne accorge. Il fatto è che la gente a cui piace conversare aggancia chi sa ascoltare all’eccesso, come me, con una sorta di segnale crittografato a cui il recettore risponde sulla stessa lunghezza d’onda, all’insaputa del malcapitato, e si interconnette nella trasmissione ossessivo-compulsiva. Con il risultato che il logorroico supera ulteriormente i suoi standard avendo una distesa di interesse da colmare.
Ma questo perché non mi conoscete. Metto la testa sul mute e, dentro di me, riesco a sbrigare qualche faccenda che mi restava in pending. Quando il monologo volge al termine sono pronto a rientrare dal pilota automatico alla guida manuale con maestria e concludo con un “pazzesco!” , un “ma dài” o un “che storia!”, e il gioco è fatto.
Nel lavoro che facevo prima me la cavavo altrettanto alla grande nelle call con gli stranieri. Il mio inglese è quello che è, me la cavicchio ma al telefono sono un disastro. Così lasciavo scorrere la conversazione rilasciando saltuariamente i soliti convenevoli (yes, yep, I see, sure, great, fantastic, ok, terrific e compagnia bella) e quando era il mio turno di parlare dicevo cose contestualizzate al tema del meeting telefonico ma che non necessariamente c’entravano con quello che era stato detto sino ad allora. Un metodo rodato che funziona sempre.
Tutta questa lunga esperienza e la tecnica che sono riuscito a sviluppare oggi è perfetta per il mio nuovo lavoro. I bambini di sei/sette anni sono un continuo raccontare qualcosa al maestro. Mi stupisco sempre di tutta questa voglia di confrontarsi che poi, nel giro di qualche tempo, si consumerà esclusivamente in una cameretta con lo smartphone acceso in mano. I miei alunni sono devastanti, da questo punto vista. E non sarebbe un problema se 1. non sapessero parlare 2. non parlassero con le mani davanti alla bocca 3. non avessero un volume di voce inesistente 4. non chiedessero le cose mentre il resto della classe intorno sposta sedie, banchi ed equipaggiamento scolastico come se non ci fosse un domani 5. non parlassero rivolgendo l’apparato fonatorio dalla parte in cui è accaduta la cosa che ti vogliono raccontare e non verso l’insegnante 6. non chiedessero cose assurde tipo maestro Rebecca ha detto che non posso essere un gatto unicorno perché nel gioco che stanno facendo non esistono 7. il maestro non fosse quasi sordo. Ed è inutile chiedere di ripetere perché nemmeno la seconda e la terza e la decima volta non risolverebbero la situazione.
Ho imparato così a portare sempre con me una gamma di risposte pronte, una specie di risponditore automatico per bambini perfetto per ogni occasione: prova a dirlo direttamente a Rebecca, dovete giocare tutti insieme, molto bello, che brava, bravissimo, prova a riflettere stando seduto nel tuo banco, vai a chiedergli di fare la pace, non voglio che litighiate, adesso vi faccio saltare a entrambi l’intervallo, va bene ma prima rimetti in ordine il banco. Una di queste cose, scelta all’istante interpretando il labiale e il mood di chi mi ha chiesto un parere o un intervento, è provato che salva sempre la situazione. E comunque un bel sì con la testa, ripetuto ad libitum, non si nega a nessuno.