Promised you a miracle – Simple Minds

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Se pensate che chitarra e voce siano tutto, in una band, provate a immaginare di sostituire una sezione ritmica con un’altra che, con il genere che suona il vostro gruppo, non ci azzecca per niente.

Il lavoro in studio per la registrazione di “Sons and fascination” si chiude con un brutto colpo per i Simple Minds. Il batterista Brian McGee, raro esempio di musicista tecnicamente dotato prestato al post-punk/new wave, abbandona il progetto. È stanco dell’impatto dello show business sulla vita privata – come biasimarlo – e sceglie di dedicarsi di più alla famiglia. Siamo nell’estate del 1981 e il tour per l’album che uscirà a settembre è alle porte. Ma il colosso Mel Gaynor, quel possente batterista che assicurerà la tenuta delle canzoni della band scozzese a fondamenta ritmiche massicce e profonde, entrerà in formazione solo a luglio dell’anno successivo, chiamato a dare man forte per la finalizzazione di “New Gold Dream”.

I Simple Minds si affidano così alle bacchette di un certo Kenny Hyslop, batterista scozzese che bazzica nei gruppi underground ma che non disdegna suonare cose diverse. Così diverse da spaziare persino nella black music e nel funk e in modo così determinato da generare un effetto immediato nello sviluppo dello stile del gruppo. Hyslop resterà per un tempo sufficiente a comporre, arrangiare e registrare un brano anomalo per la produzione dei Simple Minds, fino ad allora così rigorosa nei freddi parametri della new wave. Dal nuovo innesto prende vita “Promised you a miracle”, brano orecchiabile che, se dapprima si profila come singolo, porterà talmente fortuna da venire incluso, insieme a pezzi come “Someone Somewhere in Summertime” e “Big Sleep”, nella tracklist di quello che sarà il successivo e luccicante capolavoro della band.

Non a caso Jim Kerr ha dichiarato, anni dopo, che “Promised you a miracle” è da considerarsi il primo vero brano pop dei Simple Minds, ed è facile intuirne le ragioni. L’ispirazione per la nuova canzone nasce dall’ascolto di una compilation su cassetta di funky e hip hop newyorkese diffusa sul pullman che scarrozza in tour la band, un nastro proposto proprio da Hyslop. Il riff del brano, pensato probabilmente per una sezione fiati, viene magistralmente adattato da Mick MacNeil per i suoi sintetizzatori. Derek Forbes, al basso, non si tira indietro a doppiare l’andamento danzereccio della nuova canzone imposto dalle parti di batteria, inventando un linea funk magistrale.

Un’alchimia di spunti che, unita alla chitarra di Burchill e all’inconfondibile timbro di Kerr, fa balzare “Promised you a miracle” al tredicesimo posto della classifica inglese, assicura ai Simple Minds la prima esibizione della carriera, il 15 aprile dell’82, al programma “Top of the Pops” e spalanca alla band scozzese le porte dei magazine musicali per adolescenti, un pubblico più interessato al look dei musicisti più che all’arte in sé, siamo pur sempre negli anni ottanta e l’esplosione dei Duran Duran è dietro l’angolo.

Un aspetto che non toglie un briciolo di dignità a una vera hit. È sufficiente isolare le parti di ogni strumento che suona in “Promised you a miracle” per percepirne nel dettaglio la bellezza. Su tutti, il ritmo di tamburi nel cambio, l’intera linea di sintetizzatori sotto la strofa (per un tastierista cresciuto musicalmente negli anni 80 Mick MacNeil da solo vale più di tutti i Depeche Mode messi insieme), il modo in cui gli effetti di chitarra sanciscono il marchio di fabbrica dei Simple Minds anche su questo brano, il groove del basso che, davvero, armonicamente non fa mancare nulla e riallinea il mood generale all’estetica dei tempi, a cavallo tra dance, musica nera e matrice tipicamente british.

L’aspetto paradossale è che l’apporto di Kenny Hyslop risulterà poco più che una toccata e fuga, perché già nel febbraio dell’82 non gli viene rinnovata la fiducia, tanto da non comparire nemmeno nel video del brano composto insieme. Sembra non essere adatto e, forse, anche se l’esperienza di “Promised you a miracle” è stata fondamentale al successo di Kerr e soci, probabilmente dietro alla batteria c’è bisogno di conservare meglio la matrice new wave.

Di lì a poco uscirà “New Gold Dream” – un disco epocale, sia chiaro – che, anche grazie al singolo che l’ha preceduto, denota una virata verso uno stile decisamente più confortevole per l’ascoltatore medio. Le algide sperimentazioni di album come “Real to Real Cacophony”, “Empires and Dance”, “Sons and Fascination” e “Sister Feelings Call” lasciano il campo a una new wave più lineare, matura e completa. Un punto di non ritorno di un momento musicale che ha già i mesi contati e di un’esperienza artistica sublime che terminerà definitivamente con la cacciata di Derek Forbes dopo il successo mondiale di “Don’t you”, nel marzo dell’85. Il bassista verrà grossolanamente rimpiazzato da un ineccepibile quanto impersonale session man come John Giblin, scelta che condannerà i Simple Minds ai fasti della gloria commerciale ma all’abbandono di un genere che non ha eguali, nella storia della musica.

Di certo, però, la pubblicazione di “Promised you a miracle” – una prova esemplare del fatto che con gli elementi giusti una band può adattarsi a sopravvivere anche in territori inospitali – non lasciava presagire la definitiva caduta di “Once upon a time” e tutto quel pop inutilmente enfatico che c’è stato dopo. Chissà, se Derek Forbes non fosse stato allontanato e con Brian McGee ancora alla batteria, quale sarebbe stata l’evoluzione più naturale dei Simple Minds, da metà anni ottanta in poi. La strada di “Sparkle in the rain” sembrava, tutto sommato, quella più adatta.

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