Come sostiene Theo Brown, provare empatia per personaggi inventati potrebbe essere una delle nuove culture della modernità. Immaginate un profilo finto su Facebook inventato da qualcuno come canale narrativo. Qualcuno che fa della letteratura, del cinema e della tv contemporaneamente usando i social per raccontare una storia, una raccolta di racconti, una serie a episodi. Mi ha lasciato la ragazza, mi è morto il cane, ho votato per la prima volta, guardate che splendido tramonto, oggi in ufficio ho rovesciato il caffè americano sulla tastiera del Mac ma ho fatto finta che si sia rotta non per colpa mia e me l’hanno cambiata, una citazione dal Piccolo Principe, la foto da bambina in braccio alla mamma con il papà davanti che scatta in bianco e nero, ho perso tutto, ho cambiato lavoro. Il libro di una vita, per farla breve, ma anche un reality e un concerto dal vivo dove la gente ti fa delle domande, ti dà delle risposte, di manda affanculo o ti invita per una birra. Il fatto è che dietro a quel profilo c’è un romanziere vivente e davanti ci sono persone che si affezionano come quelli che quando muore il dottore di Grey’s Anatomy vanno sul profilo di Shonda comesichiama e la insultano. A differenza delle annunciatrici televisive questa volta sembra che ci sia della gente che parla davvero solo con me, così il rapporto si protrae, va nel profondo e si sviluppa una relazione indissolubile tra l’opera e il suo fruitore.
Stai dicendo che il romanziere sei…
Hai condensato molti significati in poche parole, bel post
siamo tutti romanzieri. Anzi, come va di moda oggi, storyteller.
Grazie