L’avvocato C. R. è anche un potente senatore del PSI che affida ai suoi più fidati collaboratori intere risme di carta intestata già pronta per elargire raccomandazioni a pioggia. La sovraesposizione, come in tutte le cose, diminuisce l’efficacia e dev’essere per questo che mi hanno spedito a un centro addestramento reclute a più di mille chilometri da casa. Pensa se non fossi stato raccomandato dove sarei stato mandato. Mi ha chiamato un membro della sua segreteria politica in persona per darmi la notizia come se si trattasse di un regalo. Per non metterlo in imbarazzo ho fatto finta di essere contento, mia mamma mi ha cresciuto così. Quando è morto oramai tutti i vecchi dinosauri della prima repubblica o schiumavano corruzione in tribunale davanti a qualcuno del team di Di Pietro o cercavano di rifarsi una verginità alla corte di Berlusconi. Dev’essere questo il motivo per cui al senatore che probabilmente ha delegato le mie sorti a qualche impiegatucolo del sottoscala – visti gli esiti – hanno dedicato una passerella su un tratto di nessuna importanza del rigagnolo che taglia in due il paesello natale. L’ho attraversata correndo stamattina e, come tutte le volte che succede, mi è tornata in mente la storia. Non c’è traccia, sull’iscrizione che sancisce la dedica, delle cause del decesso. Mio padre lo chiamava un martire del weekend per aver perso la vita su un tratto autostradale che, ai tempi, era ancora a doppio senso. Un viadotto che con la mia famiglia avrò percorso centinaia di volte, seduto senza cinture in braccio a mia madre a fianco di mio padre che guidava. Nel caso del senatore guidava uno dei figli, un avvocato come il padre nel principale studio legale della città e di cui sono stato cliente senza averlo scelto in una brutta vicenda famigliare. Aveva un colore della pelle innaturalmente abbronzato e faceva sempre le stesse battute per sdrammatizzare la situazione in cui mi trovavo. Mi parlava del suo prof di latino che definiva “timido” chi mostrava poca attitudine allo studio, battendo tre volte le nocche sul tavolo in legno come se bussasse a una porta che lo facesse uscire dal senso di colpa di aver guidato il padre lungo l’ultimo viaggio. Quando attraverso a piedi quella passerella sul rigagnolo intitolata a lui penso che, di questi tempi, non c’è da avere fiducia in tutto ciò che è sospeso in aria e avere il proprio cognome associato a un ponte, carrabile o no, non costituisce più l’aspirazione di nessuno.