Ogni anno è sempre la stessa solfa. Ci svegliamo la mattina e cerchiamo la migliore colonna sonora del Natale. La cerchiamo tra la nostra collezione di dischi. La cerchiamo su Spotify. La cerchiamo nelle cartelle di musica che occupano il settantotto per cento della memoria removibile da 128 giga del nostro smartphone. Prima optiamo per la cosa che riteniamo più originale e la scegliamo con la stessa oculatezza con cui scendiamo in cantina per portare in tavola la bottiglia che teniamo in serbo per l’occasione da mesi se non da anni. Mettiamo sul piatto il vinile del 1975 del Coro dell’Antoniano diretto da Mariele Ventre con i canti di Natale che abbiamo salvato dal macero insieme agli altri trentatré giri dal sottoscala della scuola in cui insegniamo ma poi, al secondo minuto di “Tu scendi dalle stelle” delle voci bianche, ci accorgiamo dell’inadeguatezza con i sedici gradi e il sole primaverile che ci sono fuori della copertina innevata del disco. Proviamo allora con il “Concerto per la notte di Natale dell’anno 1956” di Luigi Dallapiccola ma poi la dodecafonia si perde con l’aspirapolvere che tira su le ragnatele e le briciole prima che arrivino gli ospiti, i mobili che si spostano per lasciare spazio al tavolo esteso al massimo, le telefonate dei cugini di secondo grado che non sentiamo dal Natale dell’anno scorso. Proviamo con qualcosa di più natalizio come chiedono le nostre mogli. La nona di Beethoven che però, con tutta quella dinamica, risulta di difficile controllo e poi non fa tanto Natale anche se era la preferita del nonno. A quel punto ci giochiamo la carta delle playlist di Spotify, ma dopo “Jingle Bell Rock” e “All I Want for Christmas is You” ci rendiamo conto, come se non fosse mai successo, che siamo troppo intelligenti per lasciare che un algoritmo scelga una colonna sonora per noi. Per compensare l’eccesso di capitalismo imperialista proviamo quindi con la compilation dei più celebri canti di Natale della tradizione interpretati dal coro dell’Armata Rossa ma poi ci lasciamo tentare dalla raccolta “The Stalin Album” che inevitabilmente cambia l’atmosfera della festa tanto che, su “Poljuško Pole”, gli invitati si rendono conto che la musica costituisce ben più che un anonimo sottofondo. A quelli che chiedono “Last Christmas” rispondiamo che hanno ampiamente rotto il cazzo e che al terzo o quarto anno il “Whamageddon” non fa ridere più nessuno e che, per il prossimo Natale, è meglio che si trovino qualcosa di nuovo. Proviamo allora con l’ellepì “Stolen Moments” di Oliver Nelson ma per carità, il jazz con gli ottoni dà fastidio mentre si mangia. Proviamo con gli anni ottanta ma è un genere a cui oramai siamo troppo sovraesposti. I più giovani vorrebbero la musica del loro tempo ma il Natale, si sa, è la festa degli anziani e dei bambini e gli adolescenti così, appena possono, si rifugiano in cameretta con i loro social del cazzo. Così, per mettere tutti d’accordo, alla terza bottiglia di vino metto del reggae, tanto è tutto uguale e di quello che si ascolta non se ne accorge più nessuno.