Da quando faccio la piccola spesa quotidiana al supermercato di quartiere ho preso a salutare dicendo “ciao ciao”. Tutto perché c’è un uomo che staziona in orario di apertura sotto la pensilina che protegge dalle intemperie le porte scorrevoli principali a vendere la sua mercanzia. Stavo per definirlo ambulante ma non c’è commerciante più stanziale di lui. Vivo in questo paese alle porte di Milano da quasi vent’anni e lo vedo sempre lì, in inverno e in estate, con il caldo o con il gelo, dalle otto del mattino sino al tardo pomeriggio. Mi saluta sempre dicendo “ciao ciao” dopo che io gli detto un solo “ciao”, e ogni volta mi ricordo che qualcuno mi ha detto che in Senegal ci si saluta più volte prima di arrivare al dunque, ma potrei confondermi con gli usi di qualche altro paese straniero. Più gli dico un solo “ciao” in tono determinato, più mi restituisce il suo doppio saluto con naturalezza. Alla fine ha vinto lui. Ora “ciao ciao” è il mio modo di accomiatarmi preferito, una traduzione inutilmente letterale di “bye bye”. Credo che alla gente che mi incontra dia lo stesso effetto che l’uomo del supermercato dava a me all’inizio e sono certo che, tra una decina d’anni, “ciao ciao” sarà riconosciuto come il modo più diffuso di dirsi arrivederci.