Chissà quante volte, tra i banchi di scuola, avrete fatto o sentito questa battuta di merda parodiando il celebre successo di Raf. Eppure ho sentito persino comici alla tv – di quelli che storpiano i testi delle canzoni ma mai bene quanto il sottoscritto – cantarla dal vivo, chitarra e voce. In realtà c’è un nesso tra la berlina della casa automobilistica tedesca e il decennio culturale più spigoloso in quanto a linee estetiche. L’Audi 80 era uno status symbol di una fascia medio-alta di automobilisti, tanto che tra quelli che frequentavo io, una banda di spiantati, era una rarità. Solo Paolo se l’era comprata ma lui lavorava da molto tempo e viaggiava verso la trentina ad alta velocità, per questo una macchina così performante gli faceva comodo. Lui poi era grande e grosso, quasi due metri, e ci voleva un abitacolo sufficientemente ampio da contenerlo, soprattutto nei momenti più intimi. In realtà, su quell’automobile, non ci voleva salire nessuno. Paolo fumava tantissimo e i rivestimenti del cruscotto e dei sedili erano impregnati di puzza di sigarette irrimediabilmente. Lasciava cumuli di cicche spente nel posacenere del guidatore. Chi si sporgeva anche poco all’interno dal finestrino si traeva immediatamente fuori per l’aria irrespirabile. Una volta qualcuno voleva spostargliela dalla seconda fila in cui l’aveva lasciata incustodita ma non aveva resistito più di qualche secondo, alla guida. Volevo metterla qualche metro più avanti per uscire dal parcheggio con la mia macchina, ci aveva raccontato, ma poi dentro c’era una puzza così forte che ho preferito rinunciare. Oggi ho visto un’Audi 80 proprio davanti a scuola. Era canna di fucile proprio come quella di Paolo ma mi sembrava un modello più recente, forse già anni novanta. Chissà cos’è rimasto della sua, e chi l’avrà scattata la fotografia con tutto quel fumo che c’era dentro.