Il mio vicino maschio alfa ha comprato il modello di albero di Natale da due metri, preferendolo a quello da uno e ottanta. Mi ha fatto entrare nel suo appartamento per mostrarmi l’allestimento in legno che accoglierà presepe e albero, costruito con le sue mani. Una passerella profonda circa quaranta centimetri e alta circa dieci dal pavimento, con tanto di gambe cilindriche e sagomata in modo tale che, scontrandola, nessuno si faccia male, che corre lungo il muro del corridoio, gira intorno all’angolo e arriva in sala, per un totale di circa tre metri. Il ripiano di fronte alla porta d’ingresso è dotato di un prolungamento a T su cui ha assicurato uno dei piedini dell’albero, in modo da sfruttare al meglio la profondità degli spazi e far sì che anche il retro dell’albero – non appiccicato al muro – possa essere ammirato una volta addobbato. Il rito della posa di palline e festoni – manco a dirlo – è rimandato come per tradizione a domani, il giorno dell’Immacolata. Io avevo gli scatoloni con tutta la mia attrezzatura sul pianerottolo, li avevo appena portati su dalla cantina, e così non mi sono trattenuto molto. Pensavo di impressionarlo con le statuine antiche e la storia delle casette che costruiva mio nonno ma poi ha vinto ancora lui anche su questo fronte. I miei pastori, che risalgono agli anni cinquanta, ricalcano i modelli più comuni che si vedono sulle bancarelle dei mercatini. Il tizio con il maiale sul carretto, quell’altro con la lanterna, l’uomo con l’agnellino sulla schiena che è anni che mi chiedo dove siano dirette tutte queste persone con animali al seguito. L’arrotino e quello che torna (o va) dal pozzo con i secchi dell’acqua sulle spalle. Non importa se li possedete in ceramica, terracotta o plastica. Probabilmente sono stati fabbricati nell’equivalente della Cina di allora e non hanno molto valore, come i miei. Mentre i suoi pezzi sono realmente preziosi. Comunque non credo che il mio vicino maschio alfa da me ricavi molta soddisfazione perché non è tanto il fatto che io non sia competitivo, quando proprio si vede che perdo in partenza sotto tutti i punti di vista. Il mio albero è tutto sbilenco, risale agli anni novanta, a stento arriva al metro e ogni anno ha sempre meno aghi finti, un po’ come me che ho sempre meno capelli. Quando ho visto quella specie di luna park del presepe a casa sua mi è un po’ smorzato l’entusiasmo. Poi mia moglie è al lavoro e non ho voglia di fare l’albero da solo. Peraltro potrei riprendere ad allestire il presepe, quest’anno, pratica che avevo interrotto perché il gatto, quello che è morto quest’estate, ci andava a dormire dentro incurante dell’overbooking di visitatori in processione verso la capanna. Così mi sono messo a scrivere questa cosa qui, anche perché ho letto un post su Facebook di un’amica che ha ricordato di quando – da bambina – il padre, oggi scomparso, gli cantava “Carissimo Pinocchio” durante le feste e l’aneddoto mi ha fatto diventare ancora più triste. Mia figlia è in camera che prepara delle playlist su Spotify per le feste e, da adolescente ribelle, detesta i sentimentalismi di tutte queste cose qui. Ho pensato che raccontare queste piccole frustrazioni, come avviene sempre, è un po’ come asportarle dal proprio corpo per eliminare il fastidio alla radice e separarsene, gettandole al vento. In genere funziona.