ora vi insegno come si fa a essere un vero estimatore dei Cure

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Ieri pomeriggio mi ha telefonato Robert Smith, il cantante dei Cure, per esprimermi personalmente un ringraziamento per la mia fedeltà. L’avrebbe fatto prima se non avessi cambiato il numero di telefono. Qualche anno fa – facevo ancora il copywriter – ho avuto una SIM aziendale e da allora ho dismesso il mio vecchio recapito personale perché, alla fine, tutti mi chiamavano sul nuovo numero. Probabilmente a Robert Smith gli era sfuggito questo passaggio e ho apprezzato molto il fatto che abbia chiamato mia mamma – ai tempi del mio primo colpo di fulmine con “The Top” avevo diciassette anni e vivevo ancora con i miei genitori, e Robert conservava ancora il mio vecchio numero di casa – per chiedere informazioni. Ma la cosa sensazionale è che poche ore dopo, chiacchierando con Roberta durante lo stretching in palestra, ho scoperto che i Cure piacciono ad entrambi. Certo, non come a me, ma comunque li segue da tempo. Il fatto è che non li ascolta più molto perché a suo marito non piacciono. Io potrei chiedere il divorzio se mia moglie pretendesse una cosa simile, e già una volta mi sono arrabbiato tantissimo perché ha messo “The Head on the Door” partendo dal lato B. Il problema però è un altro, e lasciate perdere che Roberta si chiama come me e come Robert Smith. Lei ascolta i Cure ma apprezza anche cose che con i Cure c’entrano poco, come i Muse e i Placebo. Io non credo che si possa essere un estimatore dei Cure e ascoltare cose così, come non credo che si possa essere un estimatore dei Cure e ascoltare altro che non sia Siouxsie and the Banshees.

Roberta ha visto i Cure la prima volta da ragazzina nel duemila e mi sono trattenuto dal raccontarle del Teatro Tenda nell’85. Abbiamo parlato della sua storia d’amore descritta in “Lovesong” e che dura da tempo immemorabile e tutto è filato liscio fino a quando ha sostenuto una tesi totalmente infondata sul fatto che Robert Smith abbia composto segretamente diverse hit commerciali, persino brani da discoteca, e Roberta ha usato proprio queste parole. Mi spiace che la conversazione si sia tenuta dopo la chiacchierata con Robert Smith, altrimenti ne avrei approfittato per sottoporgli la questione e capire la veridicità di quanto sostenuto dalla mia compagna di allenamento. Forse era stanca, dopo la fatica dell’attività sportiva, le si è annebbiato il cervello e ha scambiato Robert Smith per qualcun altro. A me non succederebbe mai di confondere così un riferimento fondamentale della mia vita come i Cure. Pochi giorni fa, in macchina, è partita “Glittering Prize” dei Simple Minds e per un attimo ho avuto difficoltà a ricondurla a “Sparkle in the rain” piuttosto che a “New Gold Dream”. Per fortuna con Jim Kerr non ho tutta questa confidenza, quindi sono certo che non verrà mai a scoprirlo.

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