il male minore

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La scuola è iniziata ormai da più di due mesi ma stare a casa con la mamma costituisce ancora, per alcuni, il chiodo fisso che distoglie dal regolare svolgimento dell’attività quotidiana in classe. La maggior parte sostiene di frequentare con disinvoltura (oddio, non usano proprio queste parole) la giornata con maestri e compagni, mentre due o tre tra i miei alunni patiscono tutt’ora qualche attacco di nostalgia dell’atmosfera domestica e provano, con ogni mezzo, a convincermi a far intervenire i genitori prima del termine dell’orario regolamentare per essere ricondotti nella confort zone di casa. I meno subdoli simulano le indisposizioni più generiche, a partire dal mal di pancia, che io svento facilmente sottolineando la somiglianza tra i crampi allo stomaco causati dalla fame e i sintomi veri e propri. Il mal di testa va via appena si prospetta un’attività ludica. La febbre è facilmente smascherabile grazie agli strumenti in grado di rilevarne la presenza. A tutto il resto dei fastidi millantati – denti, sangue dal naso, graffi che irritano la pelle, mal d’orecchie – è facile trovare una risposta e convincere i diretti interessati che, anche chiamando a casa, i loro genitori comunque non interverrebbero.

Cecilia, da questo punto di vista, è campionessa mondiale. Qualche settimana fa, dopo che la mia collega aveva già mandato a casa Carmen per i tremori indotti da una temperatura corporea superiore ai 39 gradi, non appena sono subentrato in servizio ha provato a imitare la gravità del caso ostentando una vibrazione delle membra degna di un attore hollywoodiano chiamato a interpretare una possessione diabolica. Ha continuato in mensa anche con il bicchiere dell’acqua in mano, con conseguenze spettacolari, in uno show che è proseguito per un’ora abbondante. In questa occasione è risultato determinante l’accertamento empirico grazie al termometro che, una volta attestata l’assenza di febbre, ha convinto Cecilia a piantarla lì con la sua sceneggiata.

Stamattina, ancora Cecilia, ha lamentato un dolore al braccio. Ha condiviso i suoi sintomi tenendo l’arto steso e rigido come se fosse costretto in una ingessatura. Le ho consigliato di muoverlo il meno possibile ma di rimanere rilassata. Ha ripetuto di avere male al braccio altre tre o quattro volte con cadenza sempre più ravvicinata sino a quando, durante l’intervallo lungo, si è presentata alla cattedra con entrambe le braccia stese e appiccicate al corpo. Mi fanno male tutte e due, mi ha detto. Ho preso così a massaggiarle gli arti superiori raccontandole dei cosiddetti dolori della crescita, di quanto patissi i dolori muscolari alle gambe da piccolo io e di mia mamma che mi frizionaba con l’alcool canforato per lenire il fastidio. Una tesi che non è servita a nulla perché Cecilia mi ha assicurato che non si trattava dello stesso male. Di fronte a tanta ingenua ingegnosità però stavo per commuovermi e accontentarla. Chissà, infatti, se il mal di braccia è contagioso.

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