Stanotte ho sognato che visitavo delle scuole superiori per realizzare servizi fotografici da pubblicare su un blog in cui divulgavo articoli dedicati all’edilizia scolastica. Le cause di questa attività onirica sono facilmente riconducibili all’ennesimo colloquio con un insegnante di mia figlia da cui mi sono recato, proprio ieri mattina, con l’aggravante di una pizza a elevato indice di gravità che ho mangiato alle nove e mezza di sera. Al mio ordine tardivo alla pizzeria d’asporto si è aggiunta la latenza dell’addetto alle consegne, fattori che hanno reso ancora più sfidante il coefficiente di digeribilità risultante dalla combinazione di ingredienti quali provola, scarola e semi di non ricordo cosa superata abbondantemente l’ora di cena raccomandata per la terza età.
Una sensazione di stretta allo stomaco che mi capita sempre quando varco la soglia del liceo classico milanese che frequenta mia figlia, oramai giunta alla classe terza e oramai impossibile da non considerare una scelta non definitiva. Il problema è che ricondurre l’istruzione – anche classica – all’architettura storica (per non dire obsoleta) è uno specifico a esclusiva del nostro paese. Ai ragazzi che si apprestano a studiare greco e latino copiando le versioni su skuola.net è richiesta la stessa procedura di iniziazione di quelli che vi si approcciavano solo con il Tantucci o il Rocci, consistente nel varcare la soglia di un edificio di almeno due secoli prima che oggi ha il compito di dare il benvenuto ai millennials con busti di gente che, nel migliore dei casi, sono Manzoni e Carducci.
Premesso che ho molti amici grecisti e latinisti e che, nel mio piccolo, ho dato il mio contributo all’esegesi dell’opera più nota di Ovidio con una tesi di laurea a cui ho lavorato con il cuore, ai tempi del 5G e di TikTok (che, attenzione, distano già vent’anni dai siti didattici in Flash – che oggi, non funzionando più, stanno mandando nel panico una generazione di docenti digitali – dai blog, dalle LIM e da Facebook) i templi della cultura meriterebbero solo di essere rasi al suolo e sostituiti con edifici di nuova generazione, magari con i boschi verticali sulle pareti e i pannelli solari sul tetto, di certo progettati e costruiti per invogliare i ragazzi a vivere la scuola, anziché subirla. Mi chiedo così perché ci sia innovazione su tutto e, invece, la scuola sia solo oggetto di riforme programmatiche ma mai di trasformazioni strutturali che partono proprio dal materiale e dalla forma con cui la si costruisce.
I licei classici, poi, sono la morte dei sensi. Si sentono le voci degli studenti del secolo scorso morti di greco e latino proprio come in quel film con Robin Williams in cui si voleva far passare che sono rivoluzionari quei prof che riempiono la testa dei ragazzi di baggianate. Mentre aspettavo che il prof di greco di mia figlia mi ricevesse, ascoltavo due mamme che erano lì nei pressi per il mio stesso motivo. La prima ha detto “Piacere, sono la mamma di Vincent”, e la seconda le ha risposto “Piacere, sono la mamma di Giaime”. A me è venuta voglia di fare l’imitazione di Bombolo che, secondo me, è la reazione più pasoliniana che si possa avere. Per fortuna che il prof, poco dopo, mi ha detto che mia figlia ha delle potenzialità. Meno male.