Quando ho preso in braccio Francesco si sono manifestate due cose a cui non mi sarei mai aspettato di assistere. Alcuni bambini, i più duri, si sono messi a ridere perché non era mai successo che un loro compagno maschio avesse bisogno di coccole. Sono riuscito a fulminarli con uno sguardo che ha gelato la loro ilarità e ho ribadito, un po’ seccato, che non ci fosse nulla di strano in quello che stava accadendo. Sarebbe potuto capitare a tutti, anche ai più cinici. Ma la cosa sorprendente è stata che Francesco, tutto preso a dimostrare il suo disagio strisciando e rotolando per terra come un indemoniato e facendo versi animaleschi – roba da far temere un attacco di qualcosa – appena l’ho tirato si è su letteralmente spento. Si è abbandonato completamente al mio abbraccio e si è lasciato permeare dalla calma che ho cercato di trasmettergli. Che poi non è che fossi così rilassato. Anzi. Non sapevo più che pesci prendere e stavo addirittura per chiamare rinforzi. La classe era abbandonata a sé e osservava la scena senza particolare partecipazione, oramai abituata a un compagno così poco accomodante. Ho giocato così la carta del contatto fisico, un modo di tentare il tutto per tutto più che una strategia ma che ho già provato con successo sul campo. Anzi, quando Francesco mi ha risposto di sì e si è sorpreso della mia proposta anch’io sono rimasto stupito. L’ho preso in braccio e tutto è finito. Poi è stato un po’ a guardare la mia faccia da vicino e io la sua. Sono ancora più vulnerabili i bambini di difficile approccio quando li osservi così, quasi guancia a guancia. Abbiamo addirittura scambiato quattro chiacchiere a cui ha partecipato con un tono ben diverso dal suo solito. Ho pensato che la vita, in sé, dovrebbe essere sempre così. La stringi un po’, lei si calma, si crea un contatto e una vicinanza che poi nessuno potrà scindere mai più.