Vittoria inizia ogni frase dicendo “però”. Alza la mano sempre ma solo se non c’è da rispondere a una domanda, però basta che si parli di cose come il vestito per Halloween o la festa di compleanno di qualcuno che alza la mano e quando le concedo il permesso di intervenire si mette di tre quarti e guarda alla mia destra, nemmeno dovessimo fare un’intervista e io fossi il cameraman. Guarda alla mia destra e introduce quello che vuole dire dicendo “però” anche se non vuol prendere le distanze dalle posizioni generali sull’argomento dei suoi compagni di classe, sulla posizione di chi ha espresso il suo punto di vista prima di lei, su quello che ho chiesto o, peggio, su di me tout court. Anche se non è contraria in modo particolare. Vittoria è italiana e mi chiedo dove abbia imparato che ogni tipo di frase debba essere avversativa a prescindere. Se a casa sua si parla così. “Però mi passi il sale?”. “Però metti sul terzo canale che tra poco inizia il telegiornale”. “Però mi accompagni a fare la spesa?”. “Però non trovo l’ombrello e piove di brutto”. Forse il modello linguistico a cui è sottoposta è stato sviluppato seguendo linee grammaticali differenti. Forse a casa di Vittoria vince solo chi si mette di più in contrasto, un ambiente che ha favorito la diffusione di una specie di giungla non tanto dal punto di vista floristico e faunistico quanto delle leggi naturali dettate dall’attitudine alla sopravvivenza. Un vezzo espressivo che sarà difficile da debellare. Però ci riusciremo.