Quello di lunedì scorso è stato il terzo rinfresco per colleghe che vanno in pensione a cui mi è capitato di partecipare nel giro di qualche mese. Con Paola, la docente di sostegno che mette gli anfibi e coglie certe mie citazioni dei CCCP, dicevamo sorseggiando un ginger da discount in un bicchiere di plastica che ci vorrebbero più spesso i festeggiamenti a fine giornata. Mi ha fatto venire in mente tutti i welcome coffee, gli aperitivi e i business lunch a cui mi rifocillavo a scrocco quando lavoravo nel settore della comunicazione. Bisognava ricordarsi, nei giorni in cui si svolgevano conferenze stampa in ufficio da noi, di non portarsi la schiscetta da casa per approfittare degli avanzi lasciati dai giornalisti del settore ICT invitati.
Se poi ci aggiungi gli eventi a cui partecipavo per lavoro – per girare un video o per intervistare qualche pezzo grosso di una multinazionale tecnologica – le occasioni per mangiare e bere gratis non erano poche. Nel caso di iniziative particolari, penso alla festa pre-natalizia di un mio cliente per la quale erano addirittura stati ingaggiati mastri birrai a proporre abbinamenti dei loro prodotti con cibo gourmet e io ero lì a dirigere le riprese della gente mentre faceva andare le mandibole, c’era da divertirsi.
In genere, comunque, la qualità del catering era sempre elevata. C’è stato addirittura un periodo in cui ero incaricato di sgamare quelli che si imbucavano alle iniziative più importanti con l’unico intento di sbafarsi un abbondante pasto senza spendere il becco di un quattrino. Una vera e propria strategia: gente che si iscriveva agli eventi indicando finte aziende con nomi più che credibili presentandosi con completi business per poi addormentarsi, a pancia piena dopo pranzo, nelle poltrone più riparate della sala convegni.
A scuola, invece, si festeggia raramente. Per la prima volta nella mia vita, però, ho colleghi che vanno in pensione. In agenzia erano tutti più giovani di me, mentre a ripensare ai lavori precedenti l’età media è sempre stata estremamente bassa. Gli insegnanti – quello della scuola è un mestiere senza tempo – invece spesso sono già anziani quando inizi a lavorare con loro e magari si ritirano già a pochi mesi di distanza da quando siete entrati in contatto. O forse anche questa percezione deriva dalla maggiore sensibilità alle tematiche da terza età che si sviluppa appena entri in contatto con l’ambiente. E comunque assistere alla cerimonia di saluto a una collega che va in pensione permette diverse riflessioni. Su tutte, il fatto che gli insegnanti sembrino non aspettare altro. Il mestiere in effetti è usurante e chissà, per chi ha superato abbondantemente i sessanta potrebbe davvero generare l’illusione di una seconda vita.
Per gli insegnanti che vanno in pensione, poi, si raccolgono i soldi per un regalo e si fa un biglietto. La pensione mantiene giovani, questo è stato pensato come dedica in accompagnamento alla collana d’oro che abbiamo comprato alla maestra che ha organizzato l’ultimo rinfresco. Qualche collega ha persino provato a chiedere a me di inventare la frase di commiato ma ho declinato dicendo che non ne sarei stato capace. Non sono mica un copy, io.