Ho comprato un infuso con mille erbe ed essenze all’Esselunga solo perché aveva un packaging tutto colorato e assai invitante, con una grafica un po’ retro e un naming di prodotto particolarmente azzeccato. Devo darci un taglio con il caffè, sono stufo del latte a colazione e il tè mi sembra un ottimo compromesso. Le aspettative però sono sempre troppo elevate per quella che alla fine si conferma, come diceva mio suocero, acqua sporca. Il sapore più o meno deciso e la temperatura da bevanda corroborante non sono sufficienti a far dimenticare la consistenza che, in bocca, restituisce comunque una sensazione di liquidità al cento per cento alla stregua dell’acqua del rubinetto. Per aumentarne la densità occorre aggiungere il latte ma a me la soluzione di latte insieme all’acqua lascia perplesso e mi fa correre in bagno. Ci sono poi i brand storici del tè con le millemila varianti sul tema e i flavour esistenti in natura o inventati di sana pianta (non del tè, quindi). Senza contare il metodo di preparazione che, per certe culture, è un vero e proprio rito e si spinge molto al di là di un banale pentolino in cui far bollire l’acqua e buttarci dentro la bustina. Sono pieno anche di infusi sfusi (era molto che volevo rendere questo gioco di parole) e ho addirittura un tè al cioccolato, davvero invitante perché il profumo inconfondibile promette un’esperienza di gusto molto più avanzata in quanto richiama alla densità di ben altri prodotti in busta ma poi, versato in tazza, non cambia molto e rimpiangi il Ciobar. Mettici pure il fatto che non sono inglese e il quadro che ne esce è che, davvero, il tè non è proprio la mia tazza di tè.