La più significativa eredità che ho ricevuto dai miei genitori è un voluminoso manuale intitolato “I 100 modi per non far sentire in colpa il prossimo”, che in pratica è la summa dei comportamenti base per addossare su se stessi ogni disagio pur di non gravare sulla sensibilità altrui. Stasera ho messo in pratica il numero 84. Volete sapere come? Ho preso due pizze, una per me e una per mia figlia visto che ho fatto tardi al collegio docenti e non avevo voglia di cucinare al mio rientro. Le ho ordinate mentre tornavo in macchina per non perdere tempo, ma quando sono arrivato puntuale in pizzeria il mio ordine era appena entrato nel forno. Ho notato un po’ di rammarico nella giovane cameriera e così, per non farla star male più del dovuto, ho finto di interessarmi alla partita del Napoli trasmessa in tv. Inutile che vi ricordi quanto mi faccia cagare il calcio. Comunque tutto questo andirivieni di karma ha fatto sì che il cliente dell’asporto che era a fianco a me ma solo come un cane, nell’atto di salire in bici con la sua quattro formaggi gli è ruzzolata fuori dal cartone andando a spiaccicarsi sul marciapiede, proprio dalla parte del condimento. Ho avuto qualche secondo di impeto per fargli dono del mio calzone bufala e pomodorini con l’impasto nero, ma la fame ha prevalso sull’altruismo. Sotto l’effetto dei bisogni primari ci trasformiamo nelle peggiori bestie. Ieri, invece, ho temuto un equivoco di orario dal parrucchiere. Il mio preferito era alle prese con una tinta tendente all’arancione sui capelli di una carampana ma, piuttosto che disturbare i processi produttivi del negozio, ero pronto a mettermi nelle mani della sua collega che mi aveva appena servito un mix di frutta preparato con l’estrattore. Alla fine però l’ordine regolare delle cose è stato ristabilito. Gli ho chiesto così di farmeli cortissimi come sempre sui lati ma di tagliarli un po’ meno sopra e il risultato è che ora sembro un membro dei Leningrad Cowboys. Oggi a scuola però mi hanno fatto tutti i complimenti per la mia nuova acconciatura. Marco, che non piange più come i primi giorni, ha alzato la mano dal banco e mi ha chiamato papà e chissà di che tipo di lapsus si tratta. Una manifestazione di affetto che fa il paio con tutte le bambine e i bambini che, appena entro in classe, corrono ad abbracciarmi. Quando l’ho raccontato a mia figlia le ho chiesto se si sentisse gelosa ma non ha fatto un plissé e ha continuato a chiedermi i dettagli dei miei amici che si drogavano.