A scuola sono l’unico adulto di sesso maschile. Il corpo docenti, le insegnanti di sostegno e persino il personale ATA è interamente femminile. Le cose vanno un po’ meglio negli altri plessi dell’istituto. In secondaria qualche docente uomo c’è ma, partecipando al collegio docenti plenario, si capisce che siamo mosche bianche. Per me non è un problema, anche perché ci sono abituato e anzi, se devo dirla tutta, mi trovo molto meglio e non scrivo qui le ragioni perché non vorrei banalizzare la questione.
Il tema però diventa spinoso a proposito del contatto fisico con gli alunni. Chi insegna alla primaria sa benissimo quanto sia un mestiere di pancia. Stare in cattedra, spiegare a distanza, farsi rispondere da lontano non è una pratica efficace e non funziona con i bambini più piccoli. I miei alunni si avvicinano per dirmi le cose nell’orecchio, per timidezza perché non vogliono provare la vergogna dei compagni, per ricreare in parte quell’ambiente fatto di spazi intimi invasi che è proprio della famiglia. La mia statura poi, quando mi trovo in piedi, mi costringe a mettere la faccia al loro livello altrimenti non capisco niente e non mi va proprio di essere guardato dal basso verso l’alto. Senza contare che i bambini parlano a bassa voce, io sono sordo, insomma non è per niente semplice.
Le colleghe stringono e sbaciucchiano i loro nanetti per consolarli da una delusione, per gratificarli di un successo, perché sono i bambini spesso a chiederlo. Fino a quando mia figlia era piccola e ne ha sentito il bisogno la avevo sempre addosso. Quest’anno ho una prima e mantenere il distacco è controproducente. Per dire, Marco stamattina non ne voleva sapere di entrare e singhiozzava disperatamente aggrappato alla mamma. L’ho preso in braccio, si è calmato e l’ho portato dentro. In situazioni meno difficili, la mano sulla testa, sulle spalle, battere il cinque, sono pratiche che aiutano a entrare in confidenza. Eppure mi sono posto il problema se, visto da fuori, per un maestro uomo un atteggiamento di natura materna possa essere visto come un’anomalia.