Di fronte al rientro dalle vacanze siamo tutti uguali. Non esiste destra o sinistra, non esistono grandi o piccini, non ci sono juventini e milanisti, metallari e new romantic, progressisti o conservatori, donne e uomini, omosessuali, eterosessuali, pansessuali. Non ci sono proprietari di gatti, di cani o di canarini. Forse si distinguono i ricchi dai poveri ma solo perché chi non ha problemi di soldi non ha nemmeno il cruccio di rientrare in ufficio. Troverete anche qualche differenza tra chi lavora nel privato e gli insegnanti, che con i loro quattro mesi di ferie sembra che la scuola non ricominci mai. Scherzo, eh. Faccio l’insegnante anch’io e fino al trenta giugno ho presenziato al mio ruolo di responsabile informatico e digital manager dell’istituto in cui sono di ruolo. Anzi, ho smanettato con la Google Suite per renderla disponibile ai colleghi fino a poco prima di imbarcarmi per la Sardegna, il cinque di agosto, quindi lasciatemi il diritto di esercitare l’ironia. Ma il punto è che di fronte al rientro dalle vacanze siamo tutti esseri umani. Piove per chiunque all’aeroporto si stia accomiatando dalla città del nord Europa che ha visitato. L’effetto del porto che si muove si manifesta per ciascuno di noi che ha scelto il mare delle isole. La montagna non risparmia a nessuno dei suoi visitatori i primi presagi dell’autunno alle porte. E anche dai postumi di questo avanti e indietro vi sfido a trovare qualcuno che non ne esca indenne. La fatica di arrendersi ai pantaloni lunghi, alle calzature da indossare con i calzini, alla pelle che squama e torna pallida come in primavera. Tutti quanti ci lasciamo agosto e le località di villeggiatura alle spalle con la stessa promessa di rivederci presto e lo stesso desiderio di fare giustizia del peccato originale che ci ha reso schiavi del lavoro come matrice indissolubile dalle nostre esistenze.