Gli aforismi oggi hanno raggiunto un livello di importanza senza precedenti perché li usiamo quotidianamente nei social per indurre i nostri contatti a sottoscrivere un punto di vista espresso con le parole di persone molto più importanti e autorevoli di noi. La saggezza delle grandi figure del passato e del presente risuona sia a corollario dell’evento del giorno che decontestualizzata e condivisa con la finalità di introdurre uno spunto di discussione che, a seconda della fonte, si sviluppa in una mera accettazione dell’ipse dixit. Il limite di questo diffusissimo costume è che possiamo attribuire quello che vogliamo a chi vogliamo. Il caso di Pertini che sostiene che i politici che non fanno il bene della cosa pubblica debbano essere presi a picconate e bastonate è stato un cavallo di battaglia del grillismo. Converrete con me che è difficile smentire cose inventate di questo genere. L’avrà mai detto davvero? L’avrà lasciato scritto da qualche parte? Si tratta di una confidenza fatta agli amici più intimi e poi divulgata postuma? Da allora la moda di dimostrarsi abili conoscitori delle frasette altrui è divampata soprattutto sotto forma di immagine. Si vede il pensatore/filosofo in primo piano e, a fianco, le sue pillole di saggezza scolpite in comic sans o altri caratteri facilmente riconoscibili. Ci ritroviamo così spesso a osservare il protagonista di questa striscia, nella maggior parte dei casi morto da tempo. A reggere lo sguardo rivolto verso l’utente Facebook al di là del monitor, immobile nel suo fotoediting dozzinale su uno sfondo a tinta unita in una sorta di vilipendio di prestigio. Un’intera esistenza passata a studiare, a mobilitare popoli, a trasformare il mondo, a definire teorie scientifiche, a viaggiare nello spazio, a condizionare la vita altrui con canzoni dalla potenza straordinaria, a scrivere la storia semplificata in pochi bit da un presuntuoso omuncolo qualunque, mosso dall’unico obiettivo di strumentalizzare i massimi sistemi per un tornaconto da quattro soldi. Nella loro condizione di morti famosi, ma comunque quasi sempre morti, è facile leggere nei loro occhi una richiesta di aiuto, come se qualcuno li tenesse segregati in una cella di brutture culturali e sociali, in un momento storico che sarebbe unicamente da digitalizzare in toto per poi corrompere il file generato in modo che nessuno, in futuro, sia più in grado di aprirlo.