Io nello spazio ci avrei mandato i Pink Floyd ai tempi proprio perché ci hanno svelato il dietro le quinte del nostro amato unico satellite. Perché va bene la luna assassina, quella triste, quella che bussa, quelli che guardano il mondo dall’oblò, quelli che fanno passi da gigante camminandoci sopra, quelle che ne prendono la tintarella, che si riparano nell’ombra che la sua luce riflessa ci proietta sul suolo e che non la vogliono mica, l’uomo che ci è arrivato e quello che viene da lì. La luna ha un lato b che non si vede. Un lato oscuro con un prisma che separa i colori dalla luce. Una storia che ha avuto dei suoi cantori e suonatori e che noi ce li immaginiamo proprio così, assorti in una specie di concerto a Venezia, magari meno problematico, ma con Gilmour, Waters, Mason e Wright che suonano l’album musicale più importante della storia dell’umanità da un palco montato su un asteroide e con un impianto stellare – e lo so che nello spazio non si propaga il suono ma chi se ne importa – e la musica è così bella che vengono anche dagli altri universi.